Articoli

La responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi è da attribuire all’ente che ha, per legge, il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, cioè il compimento della cattura e della custodia dei cani vaganti.

Il fatto

A seguito di un sinistro stradale causato dall’invasione improvvisa della carreggiata da parte di un cane randagio, il danneggiato ha citato in giudizio la ASL territorialmente competente, per ottenere il risarcimento dei danni patiti.

L’Azienda Sanitaria, costituitasi in giudizio, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e ha chiamato in causa il Comune nel cui territorio è avvenuto il sinistro.

Sia il giudice di pace, in primo grado, sia il Tribunale, in grado di appello, hanno condannato in solido il Comune e la ASL a risarcire i danni all’automobilista.

La predetta Azienda ha, allora, promosso ricorso per cassazione, in quanto l’intera responsabilità avrebbe dovuto essere addossata al Comune.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione ha però respinto detto ricorso.

Infatti, secondo i giudici di legittimità, è la ASL stessa ad essere il soggetto individuato dalla normativa quale competente in materia di prevenzione del fenomeno del randagismo.

Il Comune, invece, ha unicamente il compito di prevenzione del randagismo, che si sostanzia nel controllo delle nascite della popolazione canina e felina a fini di igiene e profilassi.

Solamente la prima, di conseguenza, è responsabile civilmente per i danni arrecati da questi animali.

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Con la risposta all’interpello n. 54 del 13 febbraio 2019, l’Agenzia delle Entrate ha dichiarato che il medico di base, che esercita la propria attività in regime di convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale, non deve emettere la fattura elettronica a favore della A.S.L. per i compensi percepiti.

Il quesito

Un medico di medicina generale convenzionato con l’A.S.L. (“medico di base” o “medico di famiglia”) ha interpellato l’Agenzia delle Entrate ponendo un duplice quesito.

Da un lato, ha chiesto se, a fronte del mutato quadro normativo, avesse l’obbligo di emettere la fattura elettronica per le prestazioni medico-sanitarie svolte in favore dell’ente.

Dall’altro, se fosse venuto meno l’obbligo di inviare all’Agenzia i dati relativi al cd. spesometro.

Il parere

L’Agenzia delle Entrate ha ricostruito la normativa vigente.

Come noto, ai sensi del D. Lgs. n. 127/2015, dal 1 gennaio 2019 “per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, sono emesse esclusivamente fatture elettroniche“.

Sono, in ogni caso, esenti da tale regola generale sia i contribuenti che rientrano nel “regime dei minimi”, sia quelli che rientrano nel “regime forfetario”.

Altre eccezioni sono costituite, ad esempio, dalle vendite di beni al minuto, dalle prestazioni di trasporto di persone e dalle prestazioni alberghiere.

Questo intervento legislativo, poi, non ha modificato le previsioni del decreto IVA, che dettano le regole relative alla certificazione delle operazioni.

È tuttora in vigore, pertanto, il D.M. 31 ottobre 1974, secondo il quale, per le prestazioni medico-sanitarie, la fattura non è da emettere perché sostituita dal foglio di liquidazione dei corrispettivi.

Infine, ai sensi della Legge n. 205/2017, sempre dal 1 gennaio 2019, per tutti i contribuenti, è stato soppresso l’obbligo di invio dei dati relativi allo spesometro.

AdE_54_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.