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Divorzio: assegno di accompagnamento all’ex moglie per il figlio non riduce il mantenimento dell’ex marito

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L’ex marito aveva chiesto la revoca o la riduzione del contributo di mantenimento con la modifica delle condizioni di divorzio, già concordate dai coniugi.

La somma era pari ad € 300,00/mese e, il marito, aveva chiesto di portare l’assegno ad € 50,00 al mese poiché, la ex moglie aveva ricevuto una erogazione, da parte dell’INPS, con cadenza mensile, di €  520,29, a titolo di indennità di accompagnamento per il figlio della coppia.

Durante il divorzio, la ex moglie, non aveva rappresentato il mensile che percepiva, ma solo che era stata effettuata la presentazione della domanda all’Ente.

Qualora il ricorrente avesse saputo della somma riconosciuta in favore del figlio, avrebbe sicuramente proposto una somma minore per fare fronte anche alle proprie spese di vita.

Gli Ermellini, però, avevano valutato l’assegno erogato dall’INPS come una garanzia, in favore della ex moglie, della possibilità di disporre di risorse economiche ulteriori per fare fronte alla quota di propria spettanza degli esborsi ordinari e straordinari del figlio invalido.

La separazione personale, a differenza della cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale.

Pertanto, i redditi su cui va rapportato l’assegno a favore del coniuge sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di fedeltà, convivenza e collaborazione, quindi ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio.

Una volta che un figlio abbia raggiunto una adeguata capacità lavorativa, e quindi l’indipendenza economica, la successiva perdita dell’occupazione non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento.

Il fatto

All’esito di un giudizio per la separazione dei coniugi, il Tribunale di Avellino non ha riconosciuto nei confronti dei due figli maggiorenni della coppia il diritto al mantenimento. Si è dimostrato, infatti, che gli stessi avessero iniziato a lavorare e, quindi, acquisito la capacità di produrre reddito.

La madre degli stessi, però, ha proposto appello, rilevando che non avrebbero raggiunto l’autosufficienza economica, svolgendo solamente attività occasionali. La Corte d’Appello di Napoli ha accolto l’impugnazione.

Il padre ha, allora, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che l’acquisizione di un titolo di studio e l’acquisto del materiale necessario per svolgere una determinata professione o mestiere fossero elementi idonei per provare il raggiungimento di un’adeguata capacità lavorativa, nonostante la saltuarietà degli incarichi ricevuti.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 19696, pubblicata il 22 luglio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto le ragioni del ricorrente.

Secondo la giurisprudenza, l’obbligo di mantenimento dei genitori consiste nel dovere di assicurare ai figli, anche oltre il raggiungimento della maggiore età e in proporzione alle risorse economiche del soggetto obbligato, la possibilità di completare il percorso formativo prescelto e di acquisire la sua capacità lavorativa necessaria a rendersi autosufficiente.

L’ingresso effettivo nel mondo del lavoro con la percezione di una retribuzione, sia pure modesta, ma che prelude a rendimenti crescenti, segna la fine dell’obbligo di contribuzione da parte del genitore.

La successiva ed eventuale perdita dell’occupazione non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Con l’ordinanza n. 3877, depositata in data 08 febbraio 2019, la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che, il coniuge che abbandona il tetto coniugale e interrompe l’erogazione dei contributi economici della famiglia, gli venga addebitata la separazione.

Il fatto

La controversia ha riguardato la separazione personale di due coniugi.

Tale vicenda, si è basata sull’abbandono del tetto coniugale da parte del marito, con conseguente richiesta, da parte della moglie, della separazione a carico dello stesso.

La richiesta di addebito della separazione, è scaturita dall’abbandono unilaterale della abitazione e dall’interruzione dei contributi economici della famiglia.

Sul punto, è stato quindi promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3877/2019, ha avvalorato il provvedimento adottato dalla Corte di Appello di Venezia, e ha convalidato l’addebito della separazione nei confronti del coniuge per i motivi che seguono: in primo luogo, l’omesso contributo economico nei confronti e per il mantenimento della famiglia, e in secondo luogo, riguardo all’abbandono del tetto coniugale.

Non è stato accolto il motivo di ricorso che ha enucleato l’avvocato, affermando che, l’uomo, ha abbandonato l’abitazione per intollerabilità della vita con la coniuge.

La Corte, con tale ordinanza, ha voluto ribadire che l’addebito della separazione è previsto sia, per l’abbandono della casa, che per l’interruzione del mantenimento familiare.

Addebito-separazione-per-abbandono-casa-coniugale-e-mantenimento


Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.