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L’acquisto di un telefono cellulare fuori dai canali ufficiali di commercializzazione, per giunta da soggetto ignoto, è certamente sintomatico del dolo, elemento soggettivo necessario per la configurazione del reato di ricettazione.

Il fatto

Un ragazzo, all’esito di un controllo di polizia, è risultato possessore di un telefono cellulare, il cui smarrimento era già stato denunciato dal legittimo proprietario.

Sia in primo grado, sia in appello, i giudici di merito hanno condannato lo stesso ragazzo per il reato di concorso nella ricettazione.

Egli ha, dunque, promosso ricorso per cassazione, chiedendo la riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 647 c.p. (“appropriazione di cose smarrite, del tesoro o do cose avute per errore o caso fortuito“), depenalizzato dal D.Lgs. n. 7/2016.

La pronuncia

Con la sentenza n. 34481, pubblicata il 29 luglio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna inflittagli.

Secondo i giudici di legittimità, la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo, richiesto per la configurazione del delitto di ricettazione, si è raggiunta sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è stata rivelatrice della volontà di occultamento, spiegabile con un acquisto in mala fede.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, infatti, ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza.

Sebbene non fosse richiesto all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, dunque, egli avrebbe dovuto comunque fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Con l’ordinanza n. 26691/2018, depositata il 22 ottobre 2018, la Sesta Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione ha stabilito che nel caso di furto all’interno dell’abitazione di un condomino, commesso con accesso dalle impalcature esterne installate in occasione della ristrutturazione dell’edificio, è configurabile la responsabilità del condominio per danno cagionato da cosa in custodia.

Il fatto

Il proprietario dell’appartamento ha citato in giudizio il condominio e l’impresa esecutrice delle opere di rifacimento dell’immobile, per ottenere una condanna nei loro confronti al risarcimento dei danni conseguenti al furto di alcuni oggetti preziosi e denaro sottratti ad opera di ignoti, i quali si sono introdotti in casa attraverso i ponteggi lasciati incustoditi dallo stesso appaltatore.

Il Tribunale di Napoli ha accolto la domanda dell’attore, condannando in solido i convenuti al pagamento della somma di circa € 28.000.

Il condominio ha appellato la sentenza del giudice di prime cure eccependo, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione passiva sostanziale essendo l’impresa appaltatrice l’unica responsabile; nel merito, l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 2051 c.c. essendo il condominio custode solo delle cose di proprietà comune, non invece dei ponteggi; e, in via subordinata, l’insussistenza della propria responsabilità per aver sollecitato l’impresa ad intervenire.

La Corte d’Appello partenopea ha escluso la culpa in vigilando del condominio per aver sollecitato più volte l’appaltatrice a rimuovere il ponteggio, a fronte della sospensione dei lavori.

La pronuncia

La Suprema Corte si è pronunciata favorevolmente sulla configurabilità della responsabilità solidale del condominio con quella dell’impresa esecutrice dei lavori di ristrutturazione, sia per culpa in eligendo, sia per culpa in vigilando.

In particolare, nell’ipotesi di furto in appartamento condominiale, commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell’edificio, sono individuabili due responsabilità.

Da un lato, quella dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2043 c.c., per omessa ordinaria vigilanza nella adozione delle cautele atte ad impedire l’uso anomalo dei ponteggi.

Dall’altro, quella del condominio ai sensi dell’art. 2051 c.c., per l’omessa vigilanza e custodia della medesima impalcatura, cui è obbligato quale soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura.

Studio Legale Damoli

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Le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32358, pubblicata il 13 dicembre 2018, hanno respinto il ricorso proposto da Juventus Football Club contro il C.O.N.I. ed F.C. Internazionale, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Roma che ha definitivamente assegnato lo scudetto per la stagione 2005/06 ai nerazzurri.

Il fatto.

Come ricorderanno gli appassionati, la stagione 2005/06 del campionato di calcio di Serie A si è conclusa con la Juventus prima classificata, il Milan seconda e l’Inter sul gradino più basso del podio.

A seguito di un procedimento disciplinare per illeciti sportivi aperto nei confronti delle prime due posizionate, però, i bianconeri sono stati retrocessi in Serie B ed i rossoneri pesantemente penalizzati. Di conseguenza, nel luglio del 2006, su delibera del Commissario straordinario della F.I.G.C., il titolo di “Campione d’Italia” è stato assegnato all’Inter.

Nel 2011, la Società torinese ha chiesto alla F.I.G.C. di revocare, in autotutela, lo scudetto assegnato alla squadra di Milano, non vinto sul campo, a causa delle inchieste sorte all’epoca nei confronti di quest’ultima Società, poi tutte archiviate.

La Federazione, tuttavia, non ha accolto tale richiesta.

Così la medesima squadra di Torino si è rivolta al T.N.A.S. (Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport), chiedendo la revoca sia della deliberazione commissariale, sia del provvedimento federale, oltre ad un congruo risarcimento dei danni.

Questo Collegio Arbitrale, con lodo del 15 novembre 2011, ha respinto la domanda, dichiarando la propria incompetenza a decidere. Ha ritenuto, infatti, che la richiesta, palesemente riguardante il mondo dello sport, concernesse una situazione giuridica soggettiva (formalmente e sostanzialmente) indisponibile da parte della F.I.G.C. e, pertanto, non compromettibile.

La Società torinese, allora, ha impugnato per nullità il lodo del T.N.A.S. dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, chiedendo, anche in questa sede, la disapplicazione dei due predetti provvedimenti.

Con sentenza n. 7023 del 22 novembre 2016, i giudici romani hanno dichiarato di non poter conoscere l’impugnazione del lodo arbitrale, per difetto assoluto di giurisdizione.

La Juventus, quindi, ha proposto ricorso dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiedendo di dichiarare la giurisdizione ordinaria della Corte d’Appello di Roma, o quella amministrativa del T.A.R. per il Lazio.

La pronuncia delle Sezioni Unite.

Con la sentenza in commento è stato rigettato il ricorso in quanto dichiarato infondato.

Gli Ermellini, in particolare, dopo aver preliminarmente ribadito il principio (già sancito in Cass., SS.UU., n. 18052/2010) per il quale “la giustiziziabilità della pretesa dinanzi alla giustizia statale costituisce una questione non di giurisdizione ma di merito“, hanno confermato quanto osservato dalla Corte territoriale in materia di autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale.

Per pacifico orientamento della giurisprudenza costituzionale, infatti, le questioni riguardanti la regolarità delle competizioni ed il corretto svolgimento delle attività agonistiche sono riservate all’autonomo ordinamento sportivo. Possono essere devolute al giudice ordinario, per contro, solo le vertenze patrimoniali tra società, atleti e tesserati.

A causa, dunque, del chiaro oggetto dell’impugnazione del lodo del T.N.A.S., e cioè “l’attribuzione e la revoca (quale contrarius actus) del titolo di campione d’Italia“, le Sezioni Unite hanno definitivamente ritenuto la questione rientrante nell’autonomia dell’ordinamento calcistico e assolutamente irrilevante per l’ordinamento statale.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.