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Divorzio: assegno di accompagnamento all’ex moglie per il figlio non riduce il mantenimento dell’ex marito

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L’ex marito aveva chiesto la revoca o la riduzione del contributo di mantenimento con la modifica delle condizioni di divorzio, già concordate dai coniugi.

La somma era pari ad € 300,00/mese e, il marito, aveva chiesto di portare l’assegno ad € 50,00 al mese poiché, la ex moglie aveva ricevuto una erogazione, da parte dell’INPS, con cadenza mensile, di €  520,29, a titolo di indennità di accompagnamento per il figlio della coppia.

Durante il divorzio, la ex moglie, non aveva rappresentato il mensile che percepiva, ma solo che era stata effettuata la presentazione della domanda all’Ente.

Qualora il ricorrente avesse saputo della somma riconosciuta in favore del figlio, avrebbe sicuramente proposto una somma minore per fare fronte anche alle proprie spese di vita.

Gli Ermellini, però, avevano valutato l’assegno erogato dall’INPS come una garanzia, in favore della ex moglie, della possibilità di disporre di risorse economiche ulteriori per fare fronte alla quota di propria spettanza degli esborsi ordinari e straordinari del figlio invalido.

La Sezione Sesta Civile della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9065/2019, depositata in data 02 aprile 2019, non ha riconosciuto il risarcimento danno al marito che è stato tradito dalla moglie fedifraga. 

Il fatto

In primo grado, il Tribunale, ha accolto le pretese risarcitorie fatte valere dal marito che ha scoperto la relazione extraconiugale della moglie.

Oltre tutto, lo stesso, ha dovuto subire lo shock della scoperta che il figlio nato dalla moglie non è il suo.

La pretesa risarcitoria accolta dal Tribunale, è stata rigettata dalla Corte di Appello, poiché ritenuta priva di fondamento.

La pronuncia 

Gli Ermellini hanno avvalorato quanto disposto dalla Corte di Appello, affermando che non vi sono i presupposti per mettere in discussione le valutazioni e i fatti valutati dai giudici dell’appello. 

In conclusione, è stato ritenuto irrilevante il venire meno della comunione spirituale tra i coniugi, i comportamenti della moglie contrari alla vita coniugale e che il figlio è frutto della relazione extraconiugale della donna.

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Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Oggigiorno è, purtroppo, solito sentire tra i fatti di cronaca di relazioni sentimentali o coniugali che, una volta terminate, sfociano in una serie di comportamenti (minacce, sms ossessivi, pedinamenti, telefonate, etc.) posti in essere dal partner che non si rassegna alla rottura del rapporto, i quali configurano il reato di atti persecutori, previsto e punito dall’art. 612 bis c.p., che la letteratura scientifica identifica con il termine stalking (cfr. FIANDACA G., MUSCO E., Diritto penale. Parte speciale Vol. II – tomo I: I delitti contro la persona, 3^ed., Zanichelli, Bologna, 2011).

La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente sul rapporto tra questo delitto e l’applicazione delle misure cautelari.

Il fatto

Con ordinanza del 17 ottobre 2017, il Tribunale del Riesame di Roma ha confermato il provvedimento del 29 settembre 2017 con il quale il GIP del Tribunale di Roma ha applicato nei confronti di un uomo la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dall’ex moglie, per condotte a lui ascrivibili in relazione all’imputazione provvisoria di atti persecutori in danno della stessa, minacciata e molestata a mezzo telefono, Fb e whatsapp.

Avverso tale ordinanza l’ex marito ha proposto ricorso in Cassazione, evidenziando che le minacce a lui ascritte non si sono mai concretizzate e che, comunque, si è trattato di un solo episodio isolato ancor prima dell’applicazione della misura cautelare.

La pronuncia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21693 pubblicata il 16 maggio 2018, ha dichiarato il ricorso non ammissibile.

Il giudice del riesame, infatti, ha correttamente sottolineato la gravità di due messaggi minacciosi, inviati dall’uomo all’ex coniuge, idonei ad evidenziare come le condotte poste in essere dallo stesso avessero causato nella persona offesa un fondato timore, tale da determinare “in una persona comune” un effetto destabilizzante (Sez. 5, n. 24135/12, Rv. 253764; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 17795/17, Rv. 269621).

Le misure adottate, pertanto, sono risultate pienamente adeguate.

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Dott. Tommaso Carmagnani

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo. Si occupa di diritto civile, con maggior riguardo al diritto di famiglia.

Con la sentenza n. 2905/2019, pubblicata il 22 gennaio 2019, la Quinta Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione ha confermato la condanna nei confronti di un uomo per essere entrato senza autorizzazione nell’account Facebook della moglie.

Il fatto

Un signore ha fatto accesso al profilo del noto social network della consorte, utilizzando il nome utente e la password comunicatele dalla stessa molto tempo prima.

Così facendo, ha scoperto una chat intrattenuta dalla coniuge con un altro uomo, l’ha fotografata e ha cambiato la password d’accesso.

In seguito, ha utilizzato le schermate riproducenti quelle conversazioni nel giudizio di separazione personale.

Dapprima il Tribunale di Palermo e, in secondo grado, la Corte d’Appello della medesima città, hanno condannato il marito per il reato di cui all’art. 615 ter c.p., “accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico“, per aver violato la privacy della moglie senza la sua autorizzazione.

L’imputato ha proposto, quindi, ricorso per cassazione, lamentando la non applicabilità al caso di specie della norma predetta, essendo la password stata comunicata al compagno dalla stessa consorte.

La pronuncia

I giudici del Palazzaccio hanno dichiarato inammissibile il ricorso.

La circostanza che la coniuge avesse fornito le credenziali del proprio account social al marito, realizzando così un’implicita autorizzazione verso lo stesso, non ha escluso il carattere abusivo degli accessi.

Mediante questi ultimi, infatti, si è ottenuto un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante rispetto a qualsiasi possibile ambito autorizzatorio del titolare dello ius excludendi alios, vale a dire la conoscenza di conversazioni riservate e finanche l’estromissione dall’account Facebook della titolare del profilo e l’impossibilità di accedervi“.

Studio Legale Damoli

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Con la recente sentenza n. 31950/2018, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito l’esclusione del risarcimento danno parentale per morte del coniuge da incidente se, il marito, ha avuto una relazione extra-coniugale con nascita di un figlio.

L’incidente tra il veicolo condotto dalla moglie e il mezzo agricolo ha avuto esito drammatico e, tutti i parenti più stretti, hanno potuto legittimamente pretendere un adeguato ristoro economico per il grave danno subito. Ad eccezione del marito, al quale gli è stato negato il risarcimento, poichè aveva mantenuto una relazione extra-coniugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima del decesso della moglie.

Studio Legale Damoli

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