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La Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, con ordinanza n. 14091/19, depositata il 23 maggio 2019, ha precisato che per poter parlare di veduta è necessario che vi sia un “prospectio“, e quindi, non solo la veduta frontale, bensì anche la possibilità di visione laterale.

Il fatto

La vicenda in questione è nata poiché un condomino si è rivolto al Tribunale per domandare la demolizione o l’arretramento di una opera edilizia effettuata sul lastrico solare.

Tale volume è stato ritenuto dal ricorrente non a distanza regolamentare.

La domanda è stata respinta dai giudici del merito poichè la costruzione, a seguito di un accertamento compiuto dal CTU, è risultato essere una porta e non una finestra, per cui la sua funzione è stata identificata non tanto come quella di affacciarsi, bensì quella di permettere l’accesso.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato con sentenza il ricorso.

La pronuncia 

La Cassazione, a seguito dell’esame del CTU, ha stabilito che le porte finestrate sono quelle che presentano finestre che sono identificabili come vedute e non come semplici luci, poichè la sua funzione essenziale risuta quella oltre che di inspicere anche di prespicere.

Per questo, essendo identificata come una porta, non si applica la distanza minima di 10 metri.

Il principio di diritto è quello per cui l’obbligo nelle costruzioni di osservare le distanze è previsto solo quando si sia in presenza di vedute e non di luci: nel caso in oggetto, essendo luci e non vedute, il tribunale ha respinto il ricorso degli attori non ritenendo sussistente l’elemento della distanza.

sent distanze luce e vedute

 Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11844, depositata in data 6 Maggio 2019, ha ritenuto che la madre perda il diritto all’assegnazione della casa familiare qualora la figlia si trasferisca all’estero, anche se fa ritorno a casa con frequenza, perché viene a instaurarsi un rapporto di mera ospitalità.

Il fatto

La madre proponeva ricorso avverso il decreto della Corte D’Appello di Venezia di rigetto del reclamo avverso la decisione del Tribunale di I grado che riduceva l’ammontare del contributo mensile a carico del padre per il mantenimento della figlia maggiorenne e revocava l’assegnazione della casa familiare, in considerazione del trasferimento della figlia all’estero

La pronuncia

Secondo la giurisprudenza della Corte la nozione di convivenza, rilevante agli effetti dell’assegnazione della casa familiare, comporta la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori con eventuali e sporadici allontanamenti per brevi periodi per motivi di studio/lavoro, con esclusione del ritorno a casa per i soli week-end perché si configurerebbe un rapporto di mera ospitalità.

Nel caso di specie la figlia maggiorenne si è recata con una certa frequenza presso l’abitazione materna, ma ha voluto trasferire all’estero il centro delle proprie attività ed interessi, facendo venire meno un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, necessario perché non venga revocata l’assegnazione della casa familiare.

perdita casa coniugale figlia all'estero

Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

 

 

La Sezione Sesta Civile della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9065/2019, depositata in data 02 aprile 2019, non ha riconosciuto il risarcimento danno al marito che è stato tradito dalla moglie fedifraga. 

Il fatto

In primo grado, il Tribunale, ha accolto le pretese risarcitorie fatte valere dal marito che ha scoperto la relazione extraconiugale della moglie.

Oltre tutto, lo stesso, ha dovuto subire lo shock della scoperta che il figlio nato dalla moglie non è il suo.

La pretesa risarcitoria accolta dal Tribunale, è stata rigettata dalla Corte di Appello, poiché ritenuta priva di fondamento.

La pronuncia 

Gli Ermellini hanno avvalorato quanto disposto dalla Corte di Appello, affermando che non vi sono i presupposti per mettere in discussione le valutazioni e i fatti valutati dai giudici dell’appello. 

In conclusione, è stato ritenuto irrilevante il venire meno della comunione spirituale tra i coniugi, i comportamenti della moglie contrari alla vita coniugale e che il figlio è frutto della relazione extraconiugale della donna.

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Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7190/2019, depositata in data 13 marzo 2019, ha affermato che, ai sensi dell’art. 18 della Legge Fallimentare, sia il debitore che qualunque soggetto che sia interessato ad impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento, può esercitare l’azione se, dalla stessa, derivano “effetti riflessi negativi” morali o patrimoniali.

Il fatto

E’ stato dichiarato inammissibile, dalla Corte di Appello, il reclamo contro la dichiarazione di fallimento.

La Corte, ha precisato che colui che ha proposto il reclamo, non essendo mai stato socio né amministratore della fallita, non fosse legittimato ad impugnare la sentenza di fallimento poiché egli era solo il liquidatore della società. 

Proposto ricorso in Cassazione, il soggetto istante ha affermato l’erronea visione della Corte del riesame, poiché era stato sia amministratore della società, fino al sequestro penale delle quote della società, ma era anche il titolare delle suddette quote.

La pronuncia 

Gli Ermellini hanno precisato che l’art. 18 della Legge Fallimentare afferma che qualunque soggetto interessato, ha la legittimazione al reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento e per questo anche all’amministratore di una società di capitali.

Questo potere che viene concesso ai legittimari ha la finalità di escludere “effetti riflessi negativi” morali e patrimoniali che possono verificarsi conseguentemente alla dichiarazione di fallimento. 

La Corte precisa che, chiunque dovesse subire un danno che deriva dalla dichiarazione, non è rilevante che posizione ricopra al momento della dichiarazione. 

In conclusione, è stato accolto il ricorso dell’istante ed è stata cassata la sentenza rinviandola alla Corte d’Appello, precisando che, a prescindere dalla carica ricoperta dal soggetto, se viene emesso un provvedimento che va a danneggiare il capitale sociale e il compendio aziendale vi è la possibilità di ricorrere.

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Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 4889/2019, depositata in data 19 febbraio 2019, ha statuito che la giurisdizione in materia di acquisto di immobile abusivo spetta al Giudice Ordinario e non al Giudice Amministrativo.

Il fatto

Un privato ha chiesto il risarcimento danno, ex art. 2043 c.c., al Comune, poiché ha sostenuto che non ha posto in essere la diligenza di vigilare sul rispetto delle prescrizioni urbanistiche nella costruzione di un fabbricato da parte di una Società.

Il ricorrente ha acquistato l’immobile riponendo fiducia nel Comune, con la consapevolezza che lo stesso avesse visionato e controllato la conformità alla legge e alla disciplina urbanistica.

Solo in un secondo momento, il cittadino, ha scoperto che vi erano molteplici irregolarità edilizie ed urbanistiche rendendolo, in parte, abusivo.

Il Giudice del Tribunale, nel giudizio instaurato con la Società, chiamata in giudizio, e il Comune, ha ritenuto che la controversia dovesse essere devoluta al Giudice Amministrativo, poiché collegata all’attività della P.A., quindi, è stato proposto il regolamento preventivo di giurisdizione chiedendo l’autorizzazione del Giudice Ordinario.

Il Comune ha resistito, al contrario della Società che non ha svolto difese.

La pronuncia

La decisione è stata disposta affermando che il problema non riguarda la legittimità dei titoli abitativi relativi alla costruzione della Società, ma riguarda esclusivamente la situazione di diritto soggettivo, ossia l’integrità del patrimonio leso, presuntivamente, dal ricorrente.

Per tale motivo, la decisione è stata fondata sulla non risarcibilità del danno, poiché non riguarda un diritto soggettivo relativo alle materie di esclusiva competenza del Giudice amministrativo.
Di talché, la giurisdizione è del Giudice ordinario.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Sesta sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6562/2019, depositata il 06 marzo 2019, ha accolto il ricorso proposto da un consumatore contro un fornitore di servizi di gas, gli Ermellini hanno affermato che non basta la continua erogazione del servizio, bensì deve essere controllato il corretto funzionamento del contatore.

Il fatto

Il caso di specie, riguarda il ricorso, proposto da un consumatore, contro delle fatture prodotte in giudizio da un Ente erogatore.

La corte territoriale ha affermato che l’Ente erogatore, ha dimostrato le cessioni di gas riferite alle fatture prodotte in giudizio, e l’Ente ha proseguito nell’erogare la fornitura di gas durante il periodo relativo al rilevamento dei consumi o all’atto dell’emissione delle fatture;

In primo grado, la decisione è stata favorevole al soggetto che ha proposto l’azione;

La pronuncia

Per quanto riguarda i contratti di somministrazione, la Cassazione, ha affermato che è una semplice presunzione di veridicità il rilevamento dei consumi mediante contatore.

Nel caso di contrapposizione tra Ente erogatore e Consumatore, vige sul Fornitore l’onere di provare che il contatore sia in regola, senza perdite e sia funzionante.

Inoltre, successivamente alla contestazione del quantum del gas somministrato, la Società fornitrice avrebbe dovuto dimostrate la corretta funzionalità del contatore e, per tale motivo, inaccoglibilie sarebbe stata la pretesa creditoria, poichè è stato violato il principio della distribuzione dell’onere probatorio, ex art. 2697 c.c.

A sua volta, il Consumatore, deve dimostrare che i consumi, che sono documentati in bolletta, sono eccessivi rispetto allo standard di utilizzo e di controllo costante dell’impianto.

consumatore vs fornitore servizi di gas

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con la ordinanza n. 1188, depositata il 17 gennaio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla condomina danneggiante, poiché il giudice di prime cure ha omesso di tenere in considerazione il comportamento del condomino opposto, risultato ostile all’attività manutentiva del terrazzo.    

Il fatto

Un condomino ha proposto richiesta di risarcimento danni nei confronti di un altro condomino, poiché, dal comportamento di quest’ultimo, sono derivate infiltrazioni provenienti dal sovrastante terrazzo a livello.

Il Giudice ha condannato il propietario dell’appartamento sovrastante al risarcimento danni.

La condomina ha impugnato la sentenza davanti al Tribunale, affermando che non ha potuto sostenere nessuna attività di manutenzione del terrazzo, per perdita di titoli edilizi derivanti del diniego da parte del condomino sottostante.

Il Tribunale ha rigettato l’appello, affermando che, per i danni cagionati per infiltrazioni d’acqua derivanti dall’appartamento sovrastante, ne devono rispondere tutti i condomini in base alle proporzioni ex art. 1126 c.c.

Ha proposto ricorso in Cassazione.

La pronuncia

Il motivo di ricorso è stato accolto dalla Corte di Cassazione, poichè, la proprietaria, ha assunto la violazione degli artt. 112 e 132, n.4, c.p.c., motivando la mancata insussistenza delle proprie responsabilità ex art. 2051 c.c.

Tale mancata manutenzione del terrazzo, non è derivata da responsabilità della ricorrente, bensì tutti i condomini si sono opposti alla manutenzione, non permettendole così di apporre opere di miglioria e perdendo il beneficio dei provvedimenti comunali (sospensione del titolo edilizio).


Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.