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Con sentenza n. 22455/2019, depositata il 09 settembre 2019, la Corte di Cassazione, sezione II Civile, ha stabilito che in base all’importo oggetto della domanda deve essere parametrato il valore della controversia che sarà oggetto di accertamento da parte del giudice in ogni corcostanza.

Il fatto

Un avvocato ha proposto ricorso per il pagamento di Euro 14.667,00 oltre accessori a titolo di compenso per l’assistenza professionale in una controversia per lo scioglimento di comunione ereditaria previo disconoscimento di testamento olografo.

La resistente si è opposta chiedendo il mutamento del rito nella forma del sommario di cognizione.

L’intimata è stata condannata a pagare la minor somma, rispetto a quanto domandato dall’avvocato, pari ad Euro 8.532,54, compensando le spese per la metà.

Quanto sostenuto dal Tribunale è che il calcolo del compenso proposto dall’avvocato doveva essere parametrato non tanto sull’intero asse ereditario, bensì sulla quota di spettanza dell’erede.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha affermato che, è necessario che il giudice deve verificare, caso per caso, l’attività di difesa svolta dal legale, valutare il caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo.

La Corte, infine, ha accolto il ricorso dell’avvocato e ha cassato e rinviato al Tribunale di Avellino in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Sentenza compensi avv

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Lo stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione di impotenza strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività.

Il fatto

Su ricorso proposto da un Istituto bancario, il Tribunale di Salerno ha dichiarato il fallimento di una società.

Questa ha impugnato con reclamo la sentenza, il quale è stato, tuttavia, rigettato dalla Corte d’Appello di Salerno, secondo la quale lo stato d’insolvenza sarebbe stato desumibile sia dal mancato pagamento del debito della banca, sia dalla condotta della società stessa, che ha dismesso il suo patrimonio rendendo vane le azioni esecutive dei creditori.

La società ha, allora, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che l’inadempimento di una sola obbligazione non costituisse un elemento univoco per valutare l’insolvenza dell’azienda.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15572, depositata il 10 giugno 2019, ha rigettato il ricorso perché infondato.

I giudici del merito, infatti, hanno correttamente scrutinato la sussistenza dello stato di insolvenza, avendo rilevato l’eccedenza del passivo sull’attivo dell’azienda, dovuta appunto alla dismissione del patrimonio sociale e all’inadempimento nei confronti della Banca.

Cass_15572_2019