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Lo stipendio da considerare come base di calcolo dell’indennità di buonuscita non corrisponde all’ultima retribuzione effettivamente percepita, bensì è quello relativo alla qualifica di appartenenza.

Il fatto

Un dipendente dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, inquadrato nel livello F5 del relativo CCNL, dopo aver ricoperto temporaneamente una posizione dirigenziale vacante, ha presentato domanda di collocamento in quiescenza.

L’INPDAP gli ha riconosciuto un’indennità di buona uscita parametrata al suo livello di inquadramento.

L’ex lavoratore, allora, ha agito in giudizio sia nei confronti dell’Agenzia, sia nei confronti dell’INPS (successore dell’INPDAP), per ottenere il riconoscimento del diritto al ricalcolo di detta indennità sulla base del trattamento retributivo relativo all’incarico dirigenziale ricoperto.

I giudici di merito, tuttavia, hanno rigettato la sua domanda.

Egli ha, dunque, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che l’indennità dovesse essere calcolata sulla base dell’ultima retribuzione effettivamente percepita, relativa alle mansioni dirigenziali di fatto svolte.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 22011, pubblicata il 3 settembre 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso perché infondato.

Le Sezioni Unite di detta Corte, infatti, hanno già da tempo accolto l’orientamento secondo cui, nel regime d’indennità di buonuscita al pubblico dipendente che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell’esercizio di mansioni superiori in ragione dell’affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo, sono da considerarsi inapplicabili i contratti collettivi per l’area dirigenziale.

Cass_22011_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.