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Il TAR Lazio, Latina sezione I, con la sentenza n. 255, depositata in data 5 Aprile 2019, ha ritenuto che il manufatto realizzato per il ricovero di una caldaia va qualificato come vano tecnico e pertanto sottratto all’obbligo della previa acquisizione del permesso di costruire, tenuto conto della sua destinazione e delle dimensioni minime.

Il fatto

Il Comune di Alatri ordinava la demolizione di un “manufatto con struttura in alluminio fissato in terra di forma rettangolare con sovrastante copertura con la messa in opera all’interno di una caldaia a pellet e con la messa in opera di una canna fumaria esterna realizzata per tutta l’altezza del fabbricato della dimensione di mt 1,60 x 0,85 per alt. 2,40 e mc 3,40”.

La pronuncia

Secondo la giurisprudenza della sezione deve ritenersi esclusa dal regime di applicabilità dell’art. 31 D.P.R. n. 380 del 2001 la copertura metallica posta a protezione della caldaia, che ha le caratteristiche di un volume tecnico, per cui il manufatto deve avere un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo dell’abitazione principale e di proporzionalità tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti; inoltre, tali opere non devono poter essere ubicate all’interno dell’abitazione.

La nozione di volume tecnico riguarda solamente le opere edilizie prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto finalizzate a contenere impianti serventi una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.

Nel caso di specie la copertura realizzata ha dimensioni ridotte (meno del 2% della cubatura dell’immobile) e la sua unica funzione è di protezione della caldaia posta al suo interno e a servizio dell’abitazione principale.    

Sentenza TAR Lazio, sez. Latina, n. 255_2019

Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio è tornato ad esprimersi sul lanoso problema della relazione tra Ordinamento Statale e Ordinamento dello Sport con la Sentenza n. 2140 del 27.03.2019.

Il fatto

Il ricorrente era stato eletto consigliere di un’associazione sportiva affiliata ad una federazione sportiva riconosciuta dal C.O.N.I. Tuttavia, la Commissione di Disciplina della federazione interessata aveva deciso che l’elezione non potesse essere convalidata per ragioni legate all’ineleggibilità del ricorrente.

Il ricorrente esaurite tutte le vie di ricorso dinnanzi agli organi di giustizia sportiva, aveva introdotto ricorso al T.A.R. funzionalmente competente avverso le decisioni assunte in ambito sportivo.  Il giudice adito ha però rigettato il ricorso per difetto di giurisdizione. La sentenza assume particolare interesse giacché ribadisce quale sia la corretta lettura ermeneutica da dare alle norme che devono guidare l’interprete nell’individuazione del confine tra giurisdizione statale e sportiva.

Il giudice speciale ricorda che in virtù del principio di autonomia tra i due ordinamenti, l’art. 2 della Legge n. 280/2003 permette d’individuare quali siano i casi toccati dal difetto di giurisdizione:

  • osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;
  • i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.

L’art. 3, infine, pone il principio secondo cui esauriti i gradi della giustizia sportiva ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La pronuncia

Il T.A.R. ha confermato che, escluse le controversie aventi rilevanza per l’Ordinamento Statale tali perché riguardanti interessi legittimi o diritti soggettivi, la giustizia sportiva costituisce l’unico strumento di tutela per le ipotesi in cui si discuta circa la corretta applicazione delle regole sportive.

La lite all’origine del ricorso concernendo l’eleggibilità del ricorrente quale consigliere di un’associazione sportiva riguarda, in ultima analisi, l’osservanza delle norme regolamentari, organizzative e statutarie di una federazione sportiva.

È indubbio che tali controversie debbano essere ricondotte nella sfera di autonomia riservata all’Ordinamento dello Sport. Da tanto ne discende che la questione relativa all’ineleggibilità del ricorrente per una carica sociale, non palesando rilevanza esterna all’ordinamento sportivo e rientrando tra le materie dell’art. 2 della Legge n. 280/2003, imponga al Tribunale Amministrativo di dichiarare il difetto di giurisdizione.

Sentenza T.A.R. ord statale e ordinamento sportivo

Avv. Federico Tosi

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano e in Diritto Belga presso l’Université Catholique de Louvain-la-Neuve. Ha conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Bari ed è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Bari. Si occupa di Diritto Civile e di Diritto dello Sport.

La sezione VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1480/2019, depositata in data 4 Marzo 2019, ha ritenuto che la realizzazione di una tettoia a servizio di un edificio sia sottratta al rilascio di un permesso di costruire qualora abbia finalità di mero arredo e di protezione dell’immobile cui accede ma non ne alteri la sua sagoma.

Il fatto

Il Tar Lazio, sezione Latina, rigettava il ricorso presentato da una signora che aveva impugnato l’ordinanza di demolizione di una tettoia prefabbricata in metallo con tamponatura bilaterale asservita all’esercizio di un’attività commerciale.

La signora proponeva appello avverso la sentenza del TAR ritenendo si trattasse di una mera pertinenza in senso urbanistico.

La pronuncia

Secondo la giurisprudenza della sezione, “il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una tettoia è necessario solo quando, per le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la sagoma dell’edificio; l’installazione della tettoia è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo dell’immobile cui accedono”.

Nel caso di specie la tettoia costruita, tamponata lateralmente, era di dimensioni tali da aver innovato il manufatto preesistente da un punto di vista morfologico e funzionale, con un’evidente variazione planivolumetrica ed architettonica che rendeva necessario il rilascio del permesso di costruire per l’installazione della tettoia.  

Consiglio di Stato, sez. VI, 4 marzo 2019 tettoia

Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

 

La scelta operata da alcuni Comuni italiani di vietare l’ingresso agli animali sulle spiagge destinate alla libera balneazione è irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, anche alla luce del potere della stessa Amministrazione di individuare tratti di arenile da destinare all’accoglienza degli animali da compagnia.

Il fatto

Il Comune di Latina, nel disciplinare la stagione balneare 2018, con delibera sindacale, ha vietato di condurre e far permanere qualsiasi tipo di animale, anche sorvegliato e munito di regolare museruola e guinzaglio, nelle proprie spiagge, concedendo solo la possibilità di introdurli negli stabilimenti balneari muniti di apposite zone attrezzate.

L’Associazione Earth ha promosso ricorso al T.A.R. del Lazio chiedendo l’annullamento del provvedimento, perché l’Amministrazione avrebbe dovuto individuare le misure comportamentali ritenute più adeguate piuttosto che imporre un divieto assoluto di accesso alle spiagge, il quale incide anche sulla libertà dei proprietari dei cani.

La pronuncia

I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso perché fondato.

La delibera sindacale impugnata ha imposto irragionevolmente ai conduttori di animali il generalizzato divieto di accesso alle spiagge libere, in assenza di una motivazione che giustificasse tale scelta e senza specificare quali cautele comportamentali fossero necessarie per la tutela dell’igiene delle spiagge o dell’incolumità dei bagnanti.

Ha violato, dunque, il principio di proporzionalità, secondo il quale la P.A. deve optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i destinatari.

Il Comune per rispettare la legge avrebbe dovuto, per esempio, valutare se limitare l’accesso degli animali in determinati orari, o individuare aree all’uopo adibite.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Il T.A.R. per il Lazio, con la sentenza n. 12094/2018, pubblicata il 12 dicembre 2018, ha respinto il ricorso proposto da Vodafone Omnitel contro l’AGCOM, per l’annullamento della delibera n. 161/14/CONS, con la quale le era stata irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria di 255 mila euro.

Il fatto.

Nel dicembre 2013, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni aveva contestato alla Compagnia telefonica la violazione dell’art. 80, commi 4-bis e 4-ter, del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, per aver creato plurimi disservizi nei confronti dei propri clienti. Questi ultimi consistevano nel mancato rispetto delle norme di legge nel curare i processi di migrazione degli utenti, nei casi in cui Vodafone stessa era coinvolta come operatore donating (cioè tenuto al rilascio del proprio ex cliente a vantaggio di altro operatore, detto recipient).

L’AGCOM aveva appurato che Vodafone non eseguiva le attività di propria competenza secondo i tempi e le modalità previsti dalla legge, ledendo così i diritti degli utenti di optare per offerte economicamente più vantaggiose e di usufruire in maniera regolare dei servizi voce e dati anche durante i tempi necessari al trasferimento delle utenze presso un’altra impresa.

La società, in particolare, “aveva attuato, nel corso delle attività di passaggio dei clienti ad altro operatore, ‘procedure interne non conformi a quanto disciplinato dalla legge e dai regolamenti emanati dall’Autorità con particolare riferimento alla mancata esecuzione delle attività di competenza in concomitanza della data di attesa consegna del servizio (cd. DAC)‘”.

Nei casi in cui Vodafone assumeva il ruolo di operatore donating, essa provvedeva a de-configurare del tutto il cliente dai propri sistemi solo nel momento in cui aveva la certezza delle operazioni di avvenuta migrazione (cioè nel momento della notifica di espletamento, cd. NES) e non, invece, alla data temporalmente antecedente della “attesa consegna del servizio”, come previsto dalla normativa in materia.

La pronuncia del Tribunale Amministrativo.

Con la sentenza in commento, pertanto, è stata confermata l’illegittimità della prassi adottata dalla compagnia telefonica in modo del tutto arbitrario, non rientrando tra i compiti assegnati al donating quello di prevenire gli eventuali disguidi che l’utente potrebbe subire nel caso in cui l’operatore incumbent non eseguisse tempestivamente le attività di trasferimento della linea di sua competenza. Di conseguenza il T.A.R. per il Lazio ha confermato la sanzione amministrativa irrogata dall’AGCOM.

Clicca qui per leggere il testo integrale della sentenza:

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=4SH7OL6AB4HU6VZQFKC6IY7SKY&q=

Studio Legale Damoli