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La responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi è da attribuire all’ente che ha, per legge, il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, cioè il compimento della cattura e della custodia dei cani vaganti.

Il fatto

A seguito di un sinistro stradale causato dall’invasione improvvisa della carreggiata da parte di un cane randagio, il danneggiato ha citato in giudizio la ASL territorialmente competente, per ottenere il risarcimento dei danni patiti.

L’Azienda Sanitaria, costituitasi in giudizio, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e ha chiamato in causa il Comune nel cui territorio è avvenuto il sinistro.

Sia il giudice di pace, in primo grado, sia il Tribunale, in grado di appello, hanno condannato in solido il Comune e la ASL a risarcire i danni all’automobilista.

La predetta Azienda ha, allora, promosso ricorso per cassazione, in quanto l’intera responsabilità avrebbe dovuto essere addossata al Comune.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione ha però respinto detto ricorso.

Infatti, secondo i giudici di legittimità, è la ASL stessa ad essere il soggetto individuato dalla normativa quale competente in materia di prevenzione del fenomeno del randagismo.

Il Comune, invece, ha unicamente il compito di prevenzione del randagismo, che si sostanzia nel controllo delle nascite della popolazione canina e felina a fini di igiene e profilassi.

Solamente la prima, di conseguenza, è responsabile civilmente per i danni arrecati da questi animali.

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Per la configurazione del reato di cui all’art. 659 c.p., è sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio.

Il fatto

Un signore è stato imputato per il reato di cui all’art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) per non aver impedito ai tre galli di sua proprietà di cantare nelle ore notturne, nonostante le molteplici segnalazioni ricevute dai vicini.

I giudici di merito, sia in primo grado, sia in appello, lo hanno condannato alla pena di 20 giorni di arresto.

Egli ha, dunque, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che non fosse stato compiuto alcun accertamento volto a stabilire il superamento della soglia della normale tollerabilità delle emissioni sonore, che avrebbe messo in pericolo il riposo di un numero indeterminato di persone.

La pronuncia

Con la sentenza n. 41601, pubblicata il 10 ottobre 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Nel caso di specie, sia l’elemento oggettivo, sia quello soggettivo sono stati ritenuti concretamente ravvisabili e, quindi, la condanna è stata confermata.

Nei confronti dell’imputato, inoltre, non possono essere riconosciute le attenuanti generiche perché ha manifestato la totale noncuranza nei confronti dei propri vicini, dimostrandosi sordo alle loro rimostranze per un lungo periodo.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

La scelta operata da alcuni Comuni italiani di vietare l’ingresso agli animali sulle spiagge destinate alla libera balneazione è irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, anche alla luce del potere della stessa Amministrazione di individuare tratti di arenile da destinare all’accoglienza degli animali da compagnia.

Il fatto

Il Comune di Latina, nel disciplinare la stagione balneare 2018, con delibera sindacale, ha vietato di condurre e far permanere qualsiasi tipo di animale, anche sorvegliato e munito di regolare museruola e guinzaglio, nelle proprie spiagge, concedendo solo la possibilità di introdurli negli stabilimenti balneari muniti di apposite zone attrezzate.

L’Associazione Earth ha promosso ricorso al T.A.R. del Lazio chiedendo l’annullamento del provvedimento, perché l’Amministrazione avrebbe dovuto individuare le misure comportamentali ritenute più adeguate piuttosto che imporre un divieto assoluto di accesso alle spiagge, il quale incide anche sulla libertà dei proprietari dei cani.

La pronuncia

I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso perché fondato.

La delibera sindacale impugnata ha imposto irragionevolmente ai conduttori di animali il generalizzato divieto di accesso alle spiagge libere, in assenza di una motivazione che giustificasse tale scelta e senza specificare quali cautele comportamentali fossero necessarie per la tutela dell’igiene delle spiagge o dell’incolumità dei bagnanti.

Ha violato, dunque, il principio di proporzionalità, secondo il quale la P.A. deve optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i destinatari.

Il Comune per rispettare la legge avrebbe dovuto, per esempio, valutare se limitare l’accesso degli animali in determinati orari, o individuare aree all’uopo adibite.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

La Seconda Sezione del Tribunale di Perugia ha depositato, in data 17 dicembre 2018, la sentenza n. 1677, affermando che, in caso di danni cagionati da fauna selvatica, il danneggiato ha l’onere di provare gli elementi del fatto illecito e di individuare il comportamento colposo dell’Ente pubblico.

Il fatto

Un motociclista, nell’imboccare una curva, è stato investito da un capriolo, il quale ha invaso la carreggiata non permettendo alcuna possibilità di sterzata o frenata al soggetto.

I danni allo scooter sono stati quantificati in € 3.175,68 e, il motociclista, ha sostenuto di aver riportato danni per € 100.000,00.

Lo stesso, ha affermato che la responsabilità del danno fosse attribuibile alla Regione, la quale avrebbe dovuto controllare e gestire la fauna selvatica, violando gli obblighi previsti dalla Legge n. 157/2011, per non aver censito, in modo periodico, gli animali selvatici.

La pronuncia

Secondo il Tribunale, il profilo di colpa ascrivibile alla Regione riguardo al censimento degli animali selvatici, risulta assolutamente generica.

Inoltre, lungo la strada percorsa dal motociclista, vi erano cartelli di pericolo per l’attraversamento di animali selvatici con il limite di velocità di 70 km/h.

In conclusione, è stata rigettata la domanda proposta dal soggetto contro la Regione per insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 2043 c.c..

Fauna selvatica danno cagionato

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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