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La Cassazione Civile, Sezione Seconda, con una ordinanza del 2019, ha stabilito che il titolare della pizzeria e il proprietario dei muri devono apportare delle modifiche in caso di emanazione di fumi e odori e, il soggetto che vive nell’appartamento, per richiedere il risarcimento del danno, deve dimostrare un danno alla salute.

Il fatto

L’evento si è verificato tra il proprietario e il gestore della pizzeria e la persona che abita nel condominio.

La richiesta avanzata dal condomino è di risarcimento del danno derivante da fumi sgradevoli e odori che pervadono la sua abitazione.

L’appartamento è situato sopra all’attività di ristorazione e la canna fumaria scarica in prossimità dal suo balcone.

Sono state accolte le lamentele dell’uomo, con il conseguente ordine, al titolare e al proprietario della pizzeria, di apportare delle modifiche alle cappe e canne fumarie.

La pronuncia

La Corte di Cassazione, a seguito della richiesta di risarcimento, ha sancito che è necessario dimostrare il danno alla salute effettivamente subito dall’uomo.

L’esistenza delle immissioni non implica obbligatoriamente un danno risarcibile e la documentazione medica richiesta prodotta dall’uomo, non è stata idonea a fornire la certezza sulla «derivazione causale del disagio lamentato dal fenomeno dannoso accertato».

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Cassazione Civile, Sezione Sesta, con una ordinanza del 2019, ha precisato che in caso di presenza di una macchia ben visibile sulle scale del condominio, con conseguente caduta da parte di una persona, si esclude la responsabilità del condominio se il pericolo era prevedibile ed evitabile utilizzando l’ordinaria diligenza.

Il fatto

Il caso in oggetto riguarda una richiesta di risarcimento sottoposta all’attenzione della Cassazione, riguardo ad una caduta dalle scale per la presenza di una macchia scivolosa.

Sia in primo che in secondo grado, la domanda del danneggiato è stata rigettata, poichè non ha dimostrato, attraverso mezzi di prova, la normale diligenza nello scendere le scale.

Ha proposto ricorso per Cassazione, precisando come motivo principale l’erronea inversione dell’onere probatorio che sarebbe spettato al condominio.

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha affermato che il comportamento posto in essere dal danneggiato è l’unica causa del  verificarsi del danno, e per tale motivo, il condominio è stato esonerato, ex art. 2051 c.c., dalla responsabilità.

L’imprudenza del danneggiato, o la mancata attenzione,  possono essere tali da porsi quale fattore causale esclusivo nella produzione dell’evento.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Sesta sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 24927/2019, depositata il 07 ottobre 2019, ha specificato che le parti del fabbricato condominiale che hanno la finalità di evitare infiltrazioni di acqua piovana o sotterranea rientrano tra le cose comuni, per la funzione necessaria all’uso collettivo.

Il fatto

Il caso riguarda una lite tra condomini in merito alla ripartizione delle spese condominiali per la manutenzione del tetto del fabbricato.

Una condomina, non ha voluto partecipare alle spese per la manutenzione del tetto, in quanto le unità immobiliari appartenenti alla ricorrente non sono situate al di sotto della proiezione verticale del medesimo tetto oggetto di ristrutturazione.

La Corte d’Appello ha affermato che “le opere ed i manufatti fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 c.c., n. 3), deputati a preservare l’edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d’acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione necessaria all’uso collettivo”

La pronuncia

La Corte di Cassazione, ha confermato quanto disposto dalla Corte d’Appello, e afferma che le spese per le parti comuni per la conservazione dell’edificio sono assoggettate alla ripartizione in misura, che sono proporzionali al valore delle singole proprietà esclusive.

Il ricorso, pertanto, è stato rigettato.

Spese per il tetto

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Tale principio, affermatosi nella giurisprudenza di legittimità già prima dell’introduzione dell’art. 1130bis c.c. (L. n. 220/2012), viene in questa ordinanza della Corte confermato seppur nell’ambito di una pronuncia sulla legittimazione attiva del condomino e sull’inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal Condominio.

Il fatto

L’ordinanza in oggetto narra che successivamente a una delibera condominale avente ad oggetto la manutenzione del lastrico solare del Condominio Alfa, il Consiglio di Condominio aveva esaminato diversi preventivi di spesa. Lo stesso Consiglio di Condominio aveva poi votato uno dei preventivi ricevuti ed aveva successivamente ripartito la relativa spesa tra i condomini, tra i quali anche Tizio, al quale era stato poi sollecitato il pagamento della propria quota.

Tizio, ritenendo illegittima la delibera assunta dal Consiglio di Condominio, ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 1137 c.c. avanti al Tribunale di Torino affermando che il contenuto della delibera violava quanto stabilito dall’art. 1130bis, comma 2, c.c.. Il comma citato, infatti, attribuisce al Consiglio di Condominio funzioni consuntive e di controllo e, pertanto, eventuali delibere assunte dal Consiglio non possono ritenersi vincolanti in assenza di una successiva delibera da parte dell’assemblea condominale.

Il Tribunale di Torino e, successivamente, la Corte d’Appello hanno accolto la tesi di Tizio. Il Condominio ha quindi proposto ricorso per Cassazione sostenendo che l’assemblea condominale, nella delibera adottata successivamente a quella del Consiglio, aveva approvato i lavori, l’impresa appaltatrice ed il relativo preventivo di spesa e, quindi, approvato e ratificato quanto deliberato dal Consiglio.

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal Condominio in quanto inammissibile, poiché – in breve – la successiva delibera dell’assemblea condominiale non risultava agli atti.

Ciò nondimeno la Corte ha ribadito che “le decisioni di tale più ristretto consesso (il Consiglio condominiale n.d.r.) sono vincolanti per tutti i condomini – anche dissenzienti – solamente in quanto rimesse alla successiva approvazione, con le maggioranze prescritte, dell’assemblea, le cui funzioni (…) non sono delegabili a un gruppo di condomini”.

Nell’ambito di situazioni condominiali complesse, quindi, il Consiglio condominiale può certamente essere a supporto delle dinamiche decisionali dell’assemblea condominiale, ma il ruolo di tale ristretta rappresentanza condominale non può portare ad “esautorare l’assemblea dalle sue competenze inderogabili”.

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Avv. Alessandro Martini

Si laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento nel novembre del 2011 con una tesi in diritto tributario sulla fiscalità dei nuovi strumenti finanziari partecipativi. Ad ottobre 2012 consegue un master di secondo livello presso l’Alta scuola di studi tributari A. Berliri di Bologna e si iscrive presso l’Ordine degli Avvocati di Trento nel 2017.

Con sentenza n. 12803/2019, depositata il 14 maggio 2019, la Corte di Cassazione, sezione II Civile, ha stabilito che i condòmini, anche senza convocare l’assemblea condominiale, hanno la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto che la società ha stipulato con il condominio.

Il fatto

Nel caso di specie, alcuni condomini hanno citato in giudizio la società appaltatrice che aveva stipulato il contratto con il condominio, per la inidoneità all’uso dell’opera da essa realizzata costituita nella sostituzione della pavimentazione delle terrazze del fabbricato o, in via subordinata, il suo rifacimento a regola d’arte, e il risarcimento del danno.

In primo grado non venne accolta la domanda di risoluzione del contratto e dell’eliminazione dei vizi, però venne condannata la società a pagare 12.000,00 Euro di risarcimento danni.

La Corte territoriale, in riforma, ha condannato la società appaltatrice al rifacimento della pavimentazione delle terrazze; al contrario, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno.

La stessa Corte ha statuito che i condomini hanno la legittimazione ad agire nei confronti della società, poichè titolari esclusivi delle terrazze.

La pronuncia 

La Corte di Cassazione, ha confermato quanto stabilito dalla Corte d’Appello, precisando che la qualità di condomino è legata inscindibilmente a quella di titolare esclusivo di parte dell’edificio.

Così deciso, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società.

sciglimento contr appalto di condomino

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con sentenza n. 23/2019, depositata il 26 aprile 2019, il Tribunale di Roma ha stabilito che la responsabilità contrattuale, con conseguente risarcimento del danno, dell’inadempimento dell’amministratore di condominio dei suoi doveri, è prevista solo nel caso in cui si sia arrecato un effettivo pregiudizio patrimoniale al condominio.

Il fatto

Il caso di specie riguarda un amministratore di condominio che è stato citato in giudizio da un condominio, il quale ha assunto che lo stesso professionista non ha tenuto diligentemente la contabilità condominiale e ha posto in essere gravi inadempimenti contrattuali come la mancata convocazione di assemblee ordinarie e straordinarie, e l’omesso rendimento di conti consuntivi.

L’amministratore ha contestato la domanda di appropriazione indebita di fondi condominiali ed, in particolare, l’assunta negligenza professionale nell’adempiere qaunto previsto da mandato.

La pronuncia 

 La necessità è quella, da una parte, di dare la prova della responsabilità del professionista e, dall’altra, dimostrare i danni che ha subito il condominio.

Per tale motivo il condominio deve dimostrare la mala gestio del l’amministratore con i relativi errori posti in essere, il professionista dal canto suo deve dimostrare la correttezza del suo comportomanto.

In conclusione, l’amministratore è stato condannato solo per una carenza riguardo alla gestione economica sul conto corrente condominiale.

inadempim amministratore di condominio

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 12290, depositata in data 11 giugno 2019, ha affermato che il debitore va individuato al verificarsi del danno, per tale motivo, colui che acquista il bene con infiltrazioni già esistenti, non deve rispondere dei danni precedenti.

Il fatto

Il condominio ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo, per Euro 1.600,00, nei confronti dell’ex proprietario di un appartamento all’interno dello stabile, poichè veniva sostenuto che i danni arrecati all’appartamento della nuova condomina erano stati causati dalla mancanza di manutenzione del manto impermeabile del soprastante solaio.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso del condominio e condannato al risarcimento danno sostenendo che, lo stesso, è custode delle parti comuni ex art. 2051 c.c..

La pronuncia 

L’ex proprietario ha sostenuto di avere ceduto l’immobile nel condominio nel 2012, e che non essendo condomino al momento della delibera dell’assemblea del 2013, ha ribadito che non è tenuto a pagare le somme ingiunte.

In conclusione, il nuovo acquirente non è tenuto a pagare per i danni che vi erano in precedenza, e che l’ex proprietario è tenuto, al contrario, al pagamento dei danni che sono stati arrecati al condominio dalla mancata manutenzione del solaio.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, con ordinanza n. 14091/19, depositata il 23 maggio 2019, ha precisato che per poter parlare di veduta è necessario che vi sia un “prospectio“, e quindi, non solo la veduta frontale, bensì anche la possibilità di visione laterale.

Il fatto

La vicenda in questione è nata poiché un condomino si è rivolto al Tribunale per domandare la demolizione o l’arretramento di una opera edilizia effettuata sul lastrico solare.

Tale volume è stato ritenuto dal ricorrente non a distanza regolamentare.

La domanda è stata respinta dai giudici del merito poichè la costruzione, a seguito di un accertamento compiuto dal CTU, è risultato essere una porta e non una finestra, per cui la sua funzione è stata identificata non tanto come quella di affacciarsi, bensì quella di permettere l’accesso.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato con sentenza il ricorso.

La pronuncia 

La Cassazione, a seguito dell’esame del CTU, ha stabilito che le porte finestrate sono quelle che presentano finestre che sono identificabili come vedute e non come semplici luci, poichè la sua funzione essenziale risuta quella oltre che di inspicere anche di prespicere.

Per questo, essendo identificata come una porta, non si applica la distanza minima di 10 metri.

Il principio di diritto è quello per cui l’obbligo nelle costruzioni di osservare le distanze è previsto solo quando si sia in presenza di vedute e non di luci: nel caso in oggetto, essendo luci e non vedute, il tribunale ha respinto il ricorso degli attori non ritenendo sussistente l’elemento della distanza.

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 Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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L’iniziativa autonoma ex art. 1134 c.c. costituisce sempre una mera facoltà del singolo condomino, non certo un obbligo.

Il fatto

I condomini proprietari dell’ultimo piano di un edificio hanno demolito parte del tetto nel corso di lavori di ristrutturazione. Ciò ha creato dei varchi per le acque meteoriche, le cui infiltrazioni hanno provocato danni all’appartamento posto al penultimo piano.

Il proprietario di quest’ultimo ha, quindi, promosso un’azione di nunciazione nei confronti dei proprietari dell’abitazione sovrastante.

Il Tribunale di Savona ha condannato i convenuti al completamento delle opere di ristrutturazione e al risarcimento dei danni patiti dall’attore.

La sentenza è stata confermata anche dalla Corte d’Appello di Genova.

I proprietari dell’immobile all’ultimo piano, allora, hanno promosso ricorso per cassazione, ritenendo che il proprietario del piano inferiore avrebbe potuto eseguire autonomamente le opere di straordinaria amministrazione necessarie per evitare alcuni danni.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10587, pubblicata il 16 aprile 2019, ha respinto il ricorso perché infondato.

Pur essendo vero che l’esistenza nel condominio di un amministratore non privi i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio, è altrettanto pacifico che l’intervento del singolo condomino a tutela dei beni condominiali sia una mera facoltà.

Il condomino che ha agito maldestramente sulla cosa comune cagionando un danno alla proprietà altrui, dunque, non può mai invocare la mancata iniziativa da parte del condomino danneggiato per andare esente da responsabilità.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Il corretto espletamento dell’obbligo custodiale, ex art. 2051 c.c., richiede al condominio, alla luce di uno stato di pericolosità dell’albero, un’attività di vigilanza e manutenzione sulla res in custodia.

Il fatto

Una signora ha convenuto in giudizio un condominio, per ottenere la condanna dello stesso al risarcimento dei danni causati da un albero di grandi dimensioni presente negli spazi condominiali, che ha impedito l’utilizzo del proprio giardino.

La pronuncia

Il Tribunale di Roma ha ritenuto la domanda fondata e, quindi, ha condannato il condominio al pagamento di una somma a titolo di risarcimento dei danni, in via equitativa.

L’attrice ha invocato la responsabilità del condominio ex art. 2051 c.c., cioè una responsabilità oggettiva in capo al custode.

Grava sul danneggiato l’onere di provare l’esistenza del danno ed il nesso di causalità, intercorrente tra l’evento dannoso e la cosa in custodia.

Per contro, il custode è ammesso a fornire la prova liberatoria tramite la dimostrazione del caso fortuito, da intendersi quale interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o da un fatto estraneo alla sfera di custodia.

Nel nostro caso, il condominio avrebbe dovuto provare l’incidenza, nello sviluppo causale che ha condotto all’evento dannoso, di un fattore eccezionale ed imprevedibile, tale da escludere la materiale riconducibilità del sinistro all’agire umano.

Dagli atti di causa, al contrario, è emersa una condotta negligente del condominio, che per svariati anni non ha deliberato alcun intervento di potatura dell’albero.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.