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La giurisprudenza prevalente ritiene che il contratto definitivo costituisca l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni tra le parti, a differenza di parte della dottrina che, in virtù della teoria procedimentale, ritiene utile la valutazione del collegamento funzionale tra il preliminare ed il definitivo.

Il fatto

Il promissario acquirente di un immobile si è impegnato a versare, al compromesso, un terzo del prezzo pattuito per la compravendita e, al rogito, i restanti due terzi in contanti o mediante accollo di parte del mutuo residuo stipulato originariamente dal promissario venditore.

Nel contratto definitivo, tuttavia, le parti hanno pattuito che l’acquirente si accollava la parte di mutuo per l’intero sino all’estinzione.

Il venditore ha, allora, omesso il pagamento delle restanti rate del mutuo.

L’acquirente, chiesto del pagamento dalla Banca, ha citato in giudizio il venditore e il Tribunale ha accolto la domanda, ritenendo che il contratto definitivo non potesse comportare a carico dell’acquirente l’assunzione di maggiori oneri non previsti né convenuti.

La Corte d’Appello, invece, qualificata la fattispecie come accollo cumulativo esterno, ha ritenuto che il pagamento rientrasse nell’obbligazione assunta, e quindi che l’accollo si estendesse a tutta la somma oggetto di mutuo.

L’acquirente ha, dunque, promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 21951, pubblicata il 2 settembre 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso perché fondato.

Nonostante sia pacifico che il contenuto dell’atto pubblico prevalga sul preliminare, quest’ultimo può in astratto essere utilizzato per indagare sulla comune intenzione delle parti.

L’accollante ha dunque diritto di ripetere quanto pagato in più rispetto al prezzo pattuito per la compravendita.

Un’interpretazione diversa sarebbe contro il principio dell’interpretazione di buona fede, perché il compratore verrebbe a pagare un prezzo concordato e di gran lunga superiore.

Cass_21951_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Nel caso di acquisto di un bene immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione.

Oltre al concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, occorre l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione della comunione elencate all’art. 179, co. 1, lett. c), d) ed f), c.c..

Il fatto

Due coniugi hanno contratto matrimonio nel 1970.

Nel 1988, la moglie ha acquistato un immobile con denaro personale, prevedendo nell’atto di acquisto che fosse escluso dalla comunione legale.

Nel 2006 è stato dichiarato il fallimento del marito, quale socio unico illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo.

Il curatore del fallimento ha trascritto la sentenza di fallimento sull’immobile detto in precedenza, sul presupposto che la partecipazione al contratto del coniuge (formalmente non acquirente) ed il suo assenso all’acquisto personale in favore dell’altro coniuge non fossero elementi sufficienti ad escludere l’acquisto dalla comunione legale.

La proprietaria dell’immobile ha allora citato in giudizio il curatore per ottenere la cancellazione della trascrizione della sentenza di fallimento.

Sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello di Napoli, hanno rigettato le richieste dell’attrice.

Quest’ultima ha, quindi, promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 7027, pubblicata il 12 marzo 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, infatti, “mancando la prova della sussistenza di una delle cause di esclusione  dalla comunione legale di cui all’art. 179 c.c., lett. c), d) ed f), la mera partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di trasferimento e la sua dichiarazione circa la natura dei beni  non comport[a] l’esclusione dei beni medesimi, acquistati in regime di comunione legale, dalla comunione stessa“.

La domanda formulata dalla proprietaria dell’immobile, dunque, avrebbe dovuto essere volta ad accertare la sussistenza dei presupposti di fatto dell’esclusione dei beni dalla comunione, non essendo all’uopo sufficiente la mera dichiarazione contenuta nell’atto di vendita.

Cass_7027_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità esclude l’applicabilità della nullità assoluta per violazione della normativa in materia edilizia ai contratti preliminari ed ai contratti obbligatori in genere.

Il fatto

Il promissario acquirente ed il proprietario di un immobile hanno sottoscritto un contratto preliminare di compravendita.

A fronte dell’inerzia del secondo nella sottoscrizione del contratto definitivo, il compratore ha citato in giudizio il venditore per ottenere, in via principale, l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di stipulare l’atto traslativo e, in via subordinata, la risoluzione per inadempimento, con condanna alla restituzione del doppio della caparra.

Il Tribunale di Bari ha rigettato le domande formulate.

Sull’impugnazione proposta dal promissario acquirente, la Corte d’Appello di Bari ha accolto le sue ragioni e ha dichiarato la risoluzione del preliminare per nullità assoluta derivante dalla contrarietà a norme imperative, essendo l’immobile privo di concessione edilizia ed edificato in violazione dello strumento urbanistico vigente.

Il proprietario dell’immobile ha dunque promosso ricorso per cassazione, perché detta nullità si riferirebbe solamente agli atti di trasferimento della proprietà ad efficacia reale e non ai contratti preliminari.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 6685, pubblicata il 7 marzo 2019, gli Ermellini hanno rilevato sul punto due orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo il primo, la nullità per violazione della normativa in materia edilizia sarebbe estendibile anche ai contratti preliminari (v. Cass. 23591/13 e Cass. 28194/13).

Secondo l’altro, preferibile perché maggioritario e più recente, la sanzione della nullità, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, sarebbe applicabile nei soli contratti con effetti traslativi (ex multis, Cass. 11659/18 e Cass. 21942/17).

La Corte adita ha confermato quest’ultimo indirizzo, affermando che detta nullità non è estensibile ai contratti con efficacia obbligatoria, quali i preliminari, perché in ogni caso la sanatoria degli abusi edilizi commessi potrebbe intervenire prima della sottoscrizione del contratto definitivo.

Cass_6685_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.