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In tema di imposta di registro, l’agevolazione cd. prima casa è subordinata alla dichiarazione del contribuente, nell’atto di acquisto, di svolgere la propria attività lavorativa nel comune dove è ubicato l’immobile (requisito alternativo a quello del trasferimento della residenza anagrafica nello stesso entro diciotto mesi), poiché le agevolazioni sono generalmente condizionate ad una dichiarazione di volontà dell’avente diritto di avvalersene e, peraltro, l’Amministrazione finanziaria deve poter verificare la sussistenza dei presupposti del beneficio provvisoriamente riconosciuto.

Il fatto

Due contribuenti hanno acquistato un immobile nel Comune un cui uno di essi svolgeva la propria attività lavorativa.

Nell’atto di compravendita, gli stessi hanno dichiarato, al fine di usufruire delle agevolazioni “prima casa”, di impegnarsi a stabilire la residenza nel comune di ubicazione dell’immobile nel termine di diciotto mesi dall’acquisto.

Gli stessi, tuttavia, non hanno mai stabilito in quel luogo la loro residenza.

L’Agenzia delle Entrate, allora, ha notificato ai contribuenti un avviso di liquidazione di maggiore imposta IVA a seguito della revoca dei benefici fiscali della prima casa.

Gli acquirenti, allora, hanno promosso ricorso dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, in quanto l’agevolazione sarebbe loro spettata comunque per la sussistenza di una delle condizioni previste dalla legge, cioè l’ubicazione dell’immobile nel Comune dove gli acquirenti esercitano la propria attività lavorativa.

Non essendo stato accolto il ricorso, i contribuenti hanno promosso appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, la quale ha dato loro ragione.

L’Agenzia delle Entrate ha, allora, promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 17200, pubblicata il 26/06/2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, confermando dunque l’avviso di liquidazione della maggiore imposta notificato.

Nel caso in esame, i contribuenti hanno indicato in sede di rogito notarile, quale esclusivo presupposto per usufruire dell’agevolazione prima casa, l’assunzione dell’obbligo di trasferimento della residenza nel termine di legge, senza far menzione alcuna del requisito alternativo del luogo lavorativo.

Pertanto, in assenza di formale richiesta da parte del contribuente, nell’atto di acquisto, dell’agevolazione fiscale in base a quest’ultimo requisito, è ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione con il quale l’amministrazione finanziaria ha rilevato il mancato tempestivo trasferimento della residenza anagrafica annunciato.

Cass_17200_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Con l’ordinanza n. 5794, pubblicata il 28 febbraio 2019, la Corte di Cassazione ha delineato la nullità del contratto di locazione stipulato verbalmente e ha riconosciuto il diritto dell’inquilino ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate al proprietario di casa.

Il fatto

Il proprietario di un appartamento lo ha affittato per il periodo dal marzo 2011 all’agosto 2012 al canone di 900 euro mensili, senza tuttavia registrare alcun contratto.

Nel marzo 2012, tuttavia, su richiesta dell’inquilino, il locatore ha registrato un contratto di locazione nel quale è previsto un canone inferiore a quello effettivamente corrisposto, pari a 400 euro mensili.

Il conduttore, allora, lo ha convenuto in giudizio chiedendo la restituzione delle somme indebitamente pagate, corrispondenti ad euro 500 mensili per tutta la durata del contratto.

Sia il Tribunale di Lucca, in primo grado, sia la Corte d’Appello di Firenze, in secondo, hanno però rigettato la domanda. Secondo i giudici del merito, il contratto di locazione intercorso tra le parti non è ascrivibile alla categoria “contratti non registrati nel termine stabilito dalla legge”, essendovi prova che il contratto del marzo 2012 è stato registrato subito dopo la stipulazione.

L’inquilino ha promosso ricorso per cassazione in quanto il contratto stipulato prima del marzo 2012 sarebbe nullo per mancanza di forma scritta.

La pronuncia

La Cassazione ha accolto il ricorso ritenendolo fondato.

Come noto, la sentenza delle Sezioni Unite n. 18214/2015 ha affermato che i contratti di locazione ad uso abitativo stipulati senza la forma scritta sono affetti da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, eccezion fatta per l’ipotesi in cui la forma verbale sia abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso la nullità (cd. di protezione) è rilevabile dal solo conduttore.

Nel caso, dunque, di contratto a forma verbale liberamente concordata tra locatore e conduttore trovano applicazione i principi generali in tema di nullità.

Di conseguenza, se da un lato il locatore può agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo, dall’altro il conduttore può ottenere la parziale restituzione delle somme versate a titolo di canone in misura eccedente a quanto concordato.

Nella fattispecie concreta, i giudici di merito hanno erroneamente escluso la ripetizione di quanto pagato in più dal conduttore, facendo riferimento a quanto concordato tra le parti anziché al canone concordato dalle associazioni di categoria.

 Cass_5794_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.