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La scelta operata da alcuni Comuni italiani di vietare l’ingresso agli animali sulle spiagge destinate alla libera balneazione è irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, anche alla luce del potere della stessa Amministrazione di individuare tratti di arenile da destinare all’accoglienza degli animali da compagnia.

Il fatto

Il Comune di Latina, nel disciplinare la stagione balneare 2018, con delibera sindacale, ha vietato di condurre e far permanere qualsiasi tipo di animale, anche sorvegliato e munito di regolare museruola e guinzaglio, nelle proprie spiagge, concedendo solo la possibilità di introdurli negli stabilimenti balneari muniti di apposite zone attrezzate.

L’Associazione Earth ha promosso ricorso al T.A.R. del Lazio chiedendo l’annullamento del provvedimento, perché l’Amministrazione avrebbe dovuto individuare le misure comportamentali ritenute più adeguate piuttosto che imporre un divieto assoluto di accesso alle spiagge, il quale incide anche sulla libertà dei proprietari dei cani.

La pronuncia

I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso perché fondato.

La delibera sindacale impugnata ha imposto irragionevolmente ai conduttori di animali il generalizzato divieto di accesso alle spiagge libere, in assenza di una motivazione che giustificasse tale scelta e senza specificare quali cautele comportamentali fossero necessarie per la tutela dell’igiene delle spiagge o dell’incolumità dei bagnanti.

Ha violato, dunque, il principio di proporzionalità, secondo il quale la P.A. deve optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i destinatari.

Il Comune per rispettare la legge avrebbe dovuto, per esempio, valutare se limitare l’accesso degli animali in determinati orari, o individuare aree all’uopo adibite.

TAR_Lazio_176_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

La Cassazione, con ordinanza n. 7618, depositata il 18 marzo 2019, ha affermato che è un abuso parcheggiare, anche per pochi minuti, il proprio motoveicolo nel cortile del condominio per violazione del principio dell’uso della cosa comune.

Il fatto

Due signori, rispettivi proprietari di due appartamenti del medesimo stabile condominiale, sono soliti parcheggiare i propri motoveicoli nel cortile del palazzo e, nello specifico, in prossimità dell’appartamento di un terzo condomino.

Quest’ultimo si è rivolto al Tribunale affinché fosse dichiarata la limitazione dell’accesso nel cortile condominiale dei motoveicoli.

Sia in primo grado che in Corte d’Appello, la domanda è stata accolta perché l’abitudine di due soli condomini ha impedito a tutti gli altri di godere delle parti comuni dell’edificio.

È stata considerata irrilevante, inoltre, la saltuarietà delle soste, in quanto non è stata esclusa la lunga durata delle medesime.

La pronuncia

I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno ritenuto corretta la visione dei giudici di merito.

In particolare, hanno affermato che “la sosta dei mezzi meccanici nel cortile comune ne pregiudica la transitabilità, sì da impedire od ostacolare l’accesso all’unità immobiliare del singolo condomino“.

Con tale inciso, la Corte ha inteso confermare l’avvenuto abuso dell’utilizzo del cortile condominiale, poiché gli altri condomini non hanno potuto godere del libero e pacifico godimento del piazzale.

Di conseguenza, anche l’occupazione per breve tempo del cortile è considerato un abuso, ove non permetta a tutti i condomini di godere del proprio diritto di comproprietà sulla parte comune.

Moto parcheggiate nel cortile

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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