Articoli

La surrogazione dell’INAIL è una successione a titolo particolare del solvens nel diritto di credito vantato dall’accipiens nei confronti di un terzo.

Il fatto

Nel 1994 un operaio ha riportato gravi danni alla sua persona a causa di un incidente sul lavoro.

In conseguenza di ciò, l’INAIL costituì in suo favore una rendita vitalizia.

Nel 2000, il danneggiato ha sottoscritto una transazione con uno dei corresponsabili del danno, accettando una somma di denaro a tacitazione di qualsiasi credito.

Nel 2007 ha, poi, citato in giudizio gli altri corresponsabili per ottenere il risarcimento dei danni patiti.

Nella causa è intervenuto volontariamente l’INAIL, dichiarando di volersi surrogare nei confronti dei convenuti per la somma già pagata al danenggiato.

In primo grado, il Tribunale ha rigettato la domanda dell’assicuratore sociale.

In appello, tuttavia, i giudici hanno condannato i convenuti a rivalere l’INAIL delle somme da questo pagate al danneggiato, nella misura della propria colpa.

I soccombenti, allora, hanno promosso ricorso per cassazione, ritenendo che il diritto del danneggiato fosse già estinto per transazione e, pertanto, nessuna surrogazione avrebbe potuto aver luogo.

La pronuncia

Con la sentenza n. 24509, pubblicata l’1 ottobre 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso perché infondato.

Le Sezioni Unite della medesima Corte già hanno stabilito che la surrogazione si realizza al momento del pagamento effettuato dal surrogante nelle mani del creditore originario (il danneggiato), a prescindere da qualsiasi manifestazione di volontà del danneggiato o dell’assicuratore.

In applicazione di tale principio, l’INAIL si è surrogato al danneggiato sin dal momento in cui ha costituito in suo favore una rendita vitalizia; di conseguenza, all’epoca della transazione, il credito era già stato trasferito all’INAIL; quindi il credito del danneggiato oggetto di transazione non si è estinto perché, all’epoca della sottoscrizione dell’accordo, l’INAIL era già titolare dello stesso.

Cass_24509_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

In caso di infortunio sportivo subito da uno studente all’interno della palestra durante le ore di educazione fisica, la scuola, per essere esente da ogni responsabilità, deve fornire la prova del fatto impeditivo, cioè l’inevitabilità del danno nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitare il fatto.

Il fatto

Un bambino, nel partecipare ad un torneo di pallamano organizzato dalla propria scuola, è caduto a terra, andando ad urtare contro una panchina e riportando lesioni alla bocca.

I suoi genitori, quindi, hanno citato in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, l’istituto scolastico e la compagnia assicuratrice di quest’ultimo, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti dal figlio.

Dapprima il Tribunale de L’Aquila e, successivamente, la Corte d’Appello abruzzese hanno negato ogni responsabilità della scuola.

I rappresentanti del minore hanno, dunque, promosso ricorso per cassazione, perché l’istituto avrebbe violato l’obbligo di circondare il campo di gioco con una fascia di sicurezza e non avrebbe apposto le idonee protezioni alle panchine a bordo campo, come prescritto dal regolamento ufficiale della Federazione Italiana Giuoco Handball.

La pronuncia

I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto i motivi infondati e hanno, di conseguenza, rigettato il ricorso.

Nel caso di infortunio subito da uno studente all’interno della palestra durante le ore di educazione fisica, infatti, la scuola non può essere responsabile per il solo fatto di aver organizzato una gara sportiva.

È, invece, necessario o che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente, o che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto.

Nel caso di specie, la presenza di una panchina a margine del terreno di gioco non comporta, di per sé, l’insorgere di alcuna responsabilità in capo all’istituto. È notorio, infatti, che i campi siano fiancheggiati da una o più panchine, per consentire ai giocatori di riserva di stare seduti. La presenza della stessa, allora, costituisce ordinario completamento del campo da gioco e non certamente un’insidia.

Cass_9983_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Di recente, con la sentenza n. 8208/2019, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Poste Italiane al risarcimento dei danni per l’infortunio occorso ad un proprio dipendente (portalettere) mentre eseguiva la propria mansione.

Il fatto

Il caso riguarda un “postino” di Poste Italiane che, percorrendo una strada non asfaltata e sconnessa, con il motorino aziendale, cadeva rovinosamente a terra riportando una lesione alla mano (amputazione falange del IV dito). Promosso ricorso contro la società per il risarcimento del danno, la domanda veniva accolta in primo grado e in appello in quanto Poste Italiane non aveva fornito la prova di aver adottato tutte le misure necessarie a prevenire l’infortunio. L’incidente, infatti, era avvenuto per l’inadeguatezza del motoveicolo aziendale per il tragitto lungo strade non asfaltate ovvero lungo vie “campagna”.

La pronuncia

La Suprema Corte ha respinto il ricorso di Poste Italiane colpevole di non aver adottato ogni misura necessarie ad impedire l’evento. In particolare, l’incidente non è avvenuto per mero caso fortuito ma per la violazione di un preciso obbligo di protezione cui è tenuto il datore di lavoro di cui all’art. 2087 c.c. Tale norma prevede, infatti, che l’imprenditore è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare la salute dei propri dipendenti.

Orbene, nel caso di specie, il motorino è risultato inadeguato in relazione alle particolari caratteristiche delle sedi stradali (vie non asfaltate o sconnesse). Quindi, l’incidente è stato determinato da un inadempimento del datore di lavoro in quanto non ha fornito al proprio dipendente mezzi idonei a percorrere strade non asfaltate.

Cassazione Infortunio Postino

Dott. Fabio Caretta

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Vicenza nel Registro dei Praticanti. È esperto in diritto del lavoro, bancario e finanziario.

Con la sentenza n. 7641 del 19 marzo 2019, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente che, sotto infortunio con indicazione di riposo e cure, svolgeva una seconda attività lavorativa, violando così gli obblighi contrattuali di diligenza, fedeltà, correttezza e buona fede.

Il fatto

I primi due gradi di giudizio di merito hanno confermato la liceità del recesso datoriale comminato ad un dipendente, il quale svolgeva durante il periodo di assenza per morbosità altra attività subordinata, nello specifico guidava automezzi ed effettuava operazioni di scarico/carico di cerchi in lega per autovetture, compromettendo e ritardando la guarigione.

L’ex dipendente proponeva ricorso in Cassazione ed il datore di lavoro si costituiva tramite controricorso.

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso per cassazione, motivando quanto segue.

Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, correttamente condiviso dalla Corte d’Appello di Napoli, lo svolgimento di una seconda attività lavorativa subordinata, durante il periodo di assenza per infortunio, integra una grave violazione degli obblighi contrattuali “di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio. (Cass. n. 26496/2018; conforme, fra le più recenti, Cass. n. 10416/2017)”.

Ne consegue la legittimità del licenziamento per giusta causa per notevole inadempimento contrattuale, a prescindere dalla previsione di tale fattispecie nel contratto collettivo o nel codice disciplinare.

Sentenza n. 7641 19 marzo 2019

Dott. Dusko Kukic

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, con la tesi finale in diritto del lavoro, “il potere di controllo sul prestatore di lavoro”, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Vicenza, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo. Si occupa prevalentemente di diritto del lavoro.