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La Corte di Cassazione, Sezione IV Penale,  con sentenza depositata il 18 settembre 2019, ha deciso sul caso di una persona che è stata trovata con un tasso alcolemico superiore alla soglia legale e che stava conducendo una macchina di proprietà di una società di leasing. Tale veicolo non è stato confiscato ed è scattato solo il raddoppio della durata della sospensione della patente di guida.

Il fatto

Il caso di specie riguarda un uomo che è stato fermato in guida in stato di ebbrezza e stava conducendo una auto intestata ad una società di leasing.

Lo stesso possedeva delle quote della società di leasing.

Il legale dell’imputato, ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo l’illegittimo raddoppio della durata della sospensione della patente di guida sul fatto che l’auto non fosse intestata a persona fisica. bensì era di proprietà di una società di leasing e, per cui, di un soggetto giuridico distinto.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione non ha accolto le difese del ricorrente, precisando che il significato di “appartenenza” del veicolo a persona estranea al reato va intesa come effettivo e concreto dominio sulla cosa.

Inoltre, il giudice, non ha disposto la confisca del bene a tutela dei soci per evitare di danneggiarli ulteriormente.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con la sentenza dello scorso 29 marzo, la Corte di Cassazione afferma che il legislatore ha disciplinato in modo autonomo il contratto di leasing, nel solco di quanto già previsto nella legge fallimentare, e non è quindi più ammissibile l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. in materia di risoluzione della vendita con riserva di proprietà, il quale imponeva al concedente la restituzione dei canoni percepiti fatto salvo il diritto ad un equo compenso per l’utilizzo del bene.

Il fatto

La società Alfa, quale concedente, stipulava con la società Beta, utilizzatrice, un contratto di locazione finanziaria di natura traslativa avente ad oggetto un bene immobile ad uso commerciale.

Nel corso del contratto la società utilizzatrice interrompeva il pagamento dei canoni e la società Alfa le intimava quindi la risoluzione del contratto per inadempimento, chiedendo altresì la restituzione del bene.

In seguito al rilascio spontaneo dell’immobile, la società Beta veniva dichiarata fallita e la società Alfa domandava l’ammissione al passivo fallimentare del credito per le rate non pagate e scadute al momento della risoluzione del contratto, oltre all’importo dovuto per le rate a scadere, dedotto l’importo eventualmente ricavato dalla vendita del bene ovvero quello ad esso attribuito con perizia di stima, il tutto in forza di espressa previsione contrattuale.

Il Giudice Delegato rigettava la domanda di insinuazione al passivo poiché ritenuta incompleta rispetto alle previsioni dell’art. 1526 c.c., la cui disciplina, applicata in via analogica, era considerata inderogabile rispetto alla volontà delle parti.

A seguito del rigetto dell’opposizione allo stato passivo da parte del Tribunale di Mantova, la società Alfa promuoveva ricorso per Cassazione affermando, per quanto qui interessa, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 c.c., ritenuto prevalente rispetto alle pattuizioni contrattuali, ed invocando l’applicabilità dello ius superveniens costituito dalla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, in quanto, in assenza di un puntuale intervento legislativo, la novella ed i principi ispiratori erano applicabili in via analogica anche ai contratti sottoscritti prima dell’entrata in vigore.

La pronuncia

La Corte di Cassazione, dopo aver verificato positivamente l’applicabilità al caso di specie del principio dello ius superveniens, ha dato atto che il contratto di leasing, prima dell’intervento legislativo, era da considerarsi “come contratto atipico o innominato” con riferimento al quale la giurisprudenza aveva elaborato la distinzione tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo” ed applicato a quest’ultima tipologia la disciplina prevista per la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà, disciplina considerata inderogabile.

La legge n. 124/2017, in linea con quanto già previsto dalla legge fallimentare, ha invero superato tale distinzione e dato una disciplina organica al contratto in esame, tant’è che la Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136 – 140), sono regolati dalla disciplina della L. Fall., art. 72 quater, applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore.

In caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato.

La vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo.

Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito sulla base della stima su menzionata, sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante-fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione.

Eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto“.

Avv. Alessandro Martini

Si laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento nel novembre del 2011 con una tesi in diritto tributario sulla fiscalità dei nuovi strumenti finanziari partecipativi. Ad ottobre 2012 consegue un master di secondo livello presso l’Alta scuola di studi tributari A. Berliri di Bologna e si iscrive presso l’Ordine degli Avvocati di Trento nel 2017.

La Legge di Bilancio 2019 (L. 30 dicembre 2018, n. 145, “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021“) ha previsto l’entrata in vigore dal 1° marzo 2019, fino al 31 dicembre 2021, di due misure volte a tutelare l’ambiente e la mobilità: l’ecobonus a favore di chi acquista auto a basso impatto ambientale e l’ecotassa per chi, invece, sceglie veicoli altamente inquinanti.

Il bonus

L’art. 1, comma 1031, della predetta Legge ha riconosciuto a chi acquista, anche in leasing, un veicolo nuovo del valore non superiore a 50 mila euro (IVA esclusa), l’emissione di un contributo parametrato ai grammi di CO2 emessi.

Se l’auto comprata non produce più di 20 g/km e contestualmente si consegna per la rottamazione un veicolo omologato alle classi Euro 1, 2, 3 o 4, l’incentivo è di 6 mila euro. È di 4 mila euro in assenza di rottamazione.

Se, invece, le emissioni di COsuperano i 21 g/km, ma non eccedono i 70 g/km, il contributo è di 2.500 euro, rottamando un veicolo rientrante nelle predette classi, o di 1.500 euro, se non si consegna alcuna auto.

Qualora, inoltre, l’auto sia elettrica o ibrida, di potenza inferiore o uguale a 11kW, è riconosciuto un contributo pari al 30% del prezzo di acquisto, fino ad un massimo di 3 mila euro.

Per potersi avvantaggiare dell’incentivo, in ogni caso, l’automobile deve essere immatricolata in Italia.

L’imposta

L’art. 1, comma 1042, della citata normativa ha penalizzato, invece, chi acquista, anche in leasing, automobili che emettono più di 160 g/km di CO2.

In particolare, sono previsti quattro scaglioni di imposta proporzionali alle emissioni di CO2:

  • se queste sono inferiori a 175 g/km, l’importo da pagare è di 1.100 euro;
  • se sono comprese tra i 176 e i 200 g/km, la somma è di 1.600 euro;
  • se rientrano tra i 201 e i 250 g/km, si dovranno pagare 2 mila euro;
  • se, infine, sono superiori a 250 g/km, l’esborso sarà di 2.500 euro.

Questa imposta si applica con riferimento a veicoli immatricolati in Italia, anche se in precedenza sono stati già immatricolati in altri Paesi.

 

 

 

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.