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La Corte di Cassazione, Sezione III Penale,  con sentenza depositata il 15 novembre, ha condannato a 14 mesi di reclusione una madre che ha spinto il fidanzato quindicenne della figlia ad avere rapporti sessuali con lei.

Il fatto

Il caso di specie riguardava l’attrazione di una madre nei confronti del fidanzato quindicenne della figlia per il quale provava una forte attrazione.

Quanto dichiarato dal ragazzino e della stessa donna, per la Corte d’Appello, è stato ritenuto sufficiente per una condanna a 14 mesi di reclusione per violenza sessuale con la concessione della «sospensione condizionale».

Proposto ricorso per Cassazione.

La pronuncia

Il legale della donna ha dimostrato, ai giudici della Cassazione, mediante una perizia psichiatrica, lo stato di profonda immaturità della stessa, che viene identificata come una persona istrionica, insicura e di labile emotività.

Gli Ermellini non hanno accolto l’istanza del legale, confermando così i 14 mesi di reclusione inflitti dalla Corte d’Appello.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Prima sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 24937/2019, depositata il 07 ottobre 2019, ha respinto una richiesta del padre di vedere il figlio con maggior frequenza, decidenedo, quindi, la collocazione presso la madre.

Il fatto

A seguito di una separazione di una coppia, i giudici hanno deciso per l’affidamento condiviso del figlio minore, collocandolo presso la madre.

Il figlio viene spostato presso il luogo di residenza della madre con il susseguente trasferimento di istituto scolastico.

Il padre impugna il provvedimento del giudice che ha disposto di «trascorrere con il minore quattro giorni al mese e due pomeriggi con pernottamenti».

L’uomo si è visto respingere la richiesta del diritto di visita poiché lo schema da lui proposto «sarebbe estremamente articolato e frammentario, disfunzionale rispetto alle esigenze di stabilità e di serenità del minore».

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha confermato quanto disposto dalla Corte territoriale e ha rigettato le richieste proposte dal padre riguardo allo schema estremamente articolato e frammentato e, soprattutto, non funzionale per il minore.

affido condiviso

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con la ordinanza n. 25134/2018, la Sesta Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, ha stabilito che se il figlio minore vive in un contesto agiato, il Giudice deve prendere in considerazione lo stile di vita tenuto durante la permanenza presso la casa familiare e le disponibilità economiche dei genitori; per tale motivo, non potrà essere utilizzato un criterio generale ed equitativo se il figlio ha vissuto in un ambiente particolarmente abbiente.

Il fatto

Il caso di specie, ha riguardato l’affidamento e il mantenimento di un figlio nato da due genitori non coniugati.

Nei primi due gradi di giudizio è stato confermato che il minore doveva essere affidato in modo condiviso ad entrambi i genitori e, la Corte d’appello di Brescia, ha precisato che la collocazione preminente del minore era presso la madre, gravando così sul padre, una maggiorazione dell’assegno di mantenimento, ricalcolato da euro 800,00 a Euro 1.500,00 mensili.

Il padre ricorre in Cassazione, portando all’attenzione due motivi: in primis, affermando che non è stato posto in essere alcun tipo di valutazione che riguarda lo stile di vita del minore, ed è stato aumentato, così, l’assegno di mantenimento, inoltre, senza fare nessuna analisi e/o raffronto sulla dichiarazione dei redditi della coniuge, ma sono state precisate, solo, le risorse economiche paterne.

In secundis, il Giudice, non ha garantito la bigenitorialità e la corretta applicazione delle norme sull’affido condiviso, poiché ha statuito che la collocazione del minore fosse stabilita presso la madre, non permettendo quanto previsto dagli artt. 147 e 148 del c.c., per cui: cura, educazione ed istruzione.

La pronuncia

La Cassazione, in prima analisi, ha accolto il motivo proposto dal ricorrente.

Gli stessi Ermellini, sostengono che la corte di Appello non abbia valutato i principi del caso in oggetto; hanno affermato che non sono state valutate le esigenze di un bambino di una famiglia agiata, facendo esclusivamente ricorso ad un mero principio equitativo per la determinazione dell’assegno di mantenimento.

Riguardo al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha affermato che il fatto che il minore ha avuto il domicilio stabile presso il genitore con il quale ha vissuto prevalentemente, è stato ritenuto, ai fini della crescita, maggiormente preferibile stante la crisi che ha coinvolto il nucleo familiare.

In sostegno di tale ultimo punto, la Corte di Appello, ha svolto delle indagini peritali, perciò il provvedimento è stato ritenuto preciso e non lacunoso.

Studio Legale Damoli

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