Articoli

La Cassazione civile, Sezione Lavoro, nella sentenza del 2019, ha precisato che nel caso di erroneo calcolo dei contributi da parte dell’INPS, la responsabilità ricade anche sull’assicurato.

Il fatto

Il caso in oggetto riguarda la richiesta effettuata da un contribuente al’Inps, riguardo alla sua posizione contributiva.

L’Istituto ha comunicato all’uomo che aveva i requisiti per il conseguimento della pensione d’anzianità, cosicché decise di dare le dimissioni dal posto di lavoro.

In seguito ricevette una comunicazione che, tale posizione contributiva, riguardava altra persona col medesimo cognome e data di nascita.

L’Inps inviò una raccomandata con richiesta di restituzione della somma erogata.

L’uomo agì per vie legali. 

La Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, diede ragione al contribuente con riconoscimento, però, del concorso colposo nella causazione del danno

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha affermato che l’Istituto è comunque responsabile dei dati forniti sulla posizione contributiva, però ha riscontrato, nel comportamento del contribuente, un concorso di colpa, poiché con l’ordinaria diligenza, chiunque ha il dovere di limitare e interrompere un eventuale danno.

Infine, la Corte ha rigettato entrambi i ricorsi proposti dall’Inps e dal contribuente.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 13112018-_DSC3781-1030x716-300x209.jpg

 

Con sentenza n. 22455/2019, depositata il 09 settembre 2019, la Corte di Cassazione, sezione II Civile, ha stabilito che in base all’importo oggetto della domanda deve essere parametrato il valore della controversia che sarà oggetto di accertamento da parte del giudice in ogni corcostanza.

Il fatto

Un avvocato ha proposto ricorso per il pagamento di Euro 14.667,00 oltre accessori a titolo di compenso per l’assistenza professionale in una controversia per lo scioglimento di comunione ereditaria previo disconoscimento di testamento olografo.

La resistente si è opposta chiedendo il mutamento del rito nella forma del sommario di cognizione.

L’intimata è stata condannata a pagare la minor somma, rispetto a quanto domandato dall’avvocato, pari ad Euro 8.532,54, compensando le spese per la metà.

Quanto sostenuto dal Tribunale è che il calcolo del compenso proposto dall’avvocato doveva essere parametrato non tanto sull’intero asse ereditario, bensì sulla quota di spettanza dell’erede.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha affermato che, è necessario che il giudice deve verificare, caso per caso, l’attività di difesa svolta dal legale, valutare il caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo.

La Corte, infine, ha accolto il ricorso dell’avvocato e ha cassato e rinviato al Tribunale di Avellino in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Sentenza compensi avv

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 13112018-_DSC3781-1030x716-300x209.jpg

 

La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 17590/2019, depositata il 28 giugno 2019, ha disposto che la domanda di addebito della separazione può essere introdotta con una memoria integrativa ex art. 709, comma 3, c.p.c.

Il fatto

La Corte di appello ha rigettato l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha addebitato la separazione al marito poichè è stata ritenuta tempestiva la domanda avanzata in primo grado dall’altro coniuge, nella memoria integrativa di cui all’art. 709 c.p.c., comma 3.

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinnanzi alla Corte di cassazione invocando la tardività della domanda di addebito della separazione con la memoria integrativa ex art. 709, comma 3, c.p.c. invece che richiederla nel ricorso introduttivo ex art. 706.

La pronuncia 

La Corte romana ha dichiarato improcedibile il ricorso affermando che, come già ribadito da altre sentenze, è sufficiente che la volontà di un coniuge di addebitare la separazione all’altro sia ricavabile dalla lettura complessiva dell’atto.

Per tale motivo viene cristallizzato il principio secondo cui la domanda di addebito della separazione può essere introdotta, per la prima volta, con la memoria integrativa di cui all’art. 709, comma 3, c.p.c..

domanda di addebito memoria integrativa

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 13112018-_DSC3781-1030x716-300x209.jpg

 

La Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16405/2019, depositata il 19 giugno 2019, ha disposto che la durata del matrimonio rileva ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento.

Il fatto

Il Tribunale ha rigetto la domanda, a carico dell’ex marito, di addebito della separazione, e ha modificato la somma prevista per il mantenimento dell’ex moglie.

La Corte d’Appello ha confermato quanto statuito dal Tribunale e ha basato la decisione sul differente reddito dei due soggetti, sulla convivenza e sulla breve durata del matrimonio.

La ex moglie ha proposto ricorso per cassazione precisando che vi sono le condizioni per la separazione dal marito e la determinazione di un assegno di mantenimento.

La pronuncia 

La Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente infondati i motivi di ricorso addotti dalla ex moglie, in primis quello sull’addebito della separazione, poichè ricade sulla parte che chiede l’addebito per infedeltà dell’altro coniuge l’onere di provare il comportamento che lede i diritti e l’avere reso intollerabile la vita di coppia.

In secondo luogo, infondato il motivo sull’addebito della separazione poichè si basa sulla durata del matrimonio la determinazione della misura dell’assegno di mantenimento.

Per tale motivo è stato modificato l’assegno di mantenimento.

Assegno di mantenimento

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 13112018-_DSC3781-1030x716-300x209.jpg

 

La Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, con ordinanza n. 14091/19, depositata il 23 maggio 2019, ha precisato che per poter parlare di veduta è necessario che vi sia un “prospectio“, e quindi, non solo la veduta frontale, bensì anche la possibilità di visione laterale.

Il fatto

La vicenda in questione è nata poiché un condomino si è rivolto al Tribunale per domandare la demolizione o l’arretramento di una opera edilizia effettuata sul lastrico solare.

Tale volume è stato ritenuto dal ricorrente non a distanza regolamentare.

La domanda è stata respinta dai giudici del merito poichè la costruzione, a seguito di un accertamento compiuto dal CTU, è risultato essere una porta e non una finestra, per cui la sua funzione è stata identificata non tanto come quella di affacciarsi, bensì quella di permettere l’accesso.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato con sentenza il ricorso.

La pronuncia 

La Cassazione, a seguito dell’esame del CTU, ha stabilito che le porte finestrate sono quelle che presentano finestre che sono identificabili come vedute e non come semplici luci, poichè la sua funzione essenziale risuta quella oltre che di inspicere anche di prespicere.

Per questo, essendo identificata come una porta, non si applica la distanza minima di 10 metri.

Il principio di diritto è quello per cui l’obbligo nelle costruzioni di osservare le distanze è previsto solo quando si sia in presenza di vedute e non di luci: nel caso in oggetto, essendo luci e non vedute, il tribunale ha respinto il ricorso degli attori non ritenendo sussistente l’elemento della distanza.

sent distanze luce e vedute

 Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 13112018-_DSC3781-1030x716-300x209.jpg

 

In tema di violazioni del codice della strada, quando non è possibile il pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria ex art. 202 C.d.S., la mancata impugnazione del verbale non determina la formazione del titolo esecutivo, essendo impugnabile esclusivamente l’ordinanza ingiunzione.

Il fatto

Una società francese intestataria di un autocarro, regolarmente immatricolato in Francia e con telaio associato ad una targa francese, lo ha venduto ad un’altra società tedesca, la quale, poi, lo ha trasferito ad un’impresa italiana. La società francese, tuttavia, non ha mai provveduto alla radiazione del mezzo.

Il titolare dell’impresa italiana ha ricevuto una sanzione amministrativa per aver circolato alla guida di un autocarro munito di targa non propria.

Sia il Giudice di Pace, in primo grado, sia il Tribunale, in appello, hanno accolto l’opposizione promossa dal proprietario del veicolo.

La Prefettura di Genova ha, allora, promosso ricorso per cassazione, in quanto l’opposizione sarebbe inammissibile perché il ricorrente avrebbe potuto impugnare l’ordinanza ingiunzione e non il verbale di accertamento.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13676, pubblicata il 21 maggio 2019, ha accolto il ricorso perché fondato.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, nelle ipotesi in cui non sia applicabile l’art. 203 C.d.S., che prevede la possibilità di impugnare il verbale di contestazione dinanzi all’autorità giudiziaria, si applica la disciplina generale della L. 689/1981, che prevede la possibilità di impugnare solo l’ordinanza-ingiunzione.

Cass_13676_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Qualora il decreto prefettizio preveda l’installazione di un autovelox lungo solo un senso di marcia, il verbale di violazione del codice della strada emesso a seguito di un accertamento effettuato mediante la rilevazione di un dispositivo posizionato sul contrapposto senso di marcia è illegittimo, difettando di uno specifico provvedimento autorizzativo.

Il fatto

Un cittadino ha ricevuto una sanzione amministrativa per aver superato i limiti di velocità.

Egli ha, però, proposto opposizione verbale di accertamento di violazione del Codice della Strada perché l’autovelox che ha rilevato la sua infrazione si trovava sul lato destro della carreggiata, anziché sul lato sinistro, come previsto dal decreto prefettizio di autorizzazione.

Dapprima, il Giudice di Pace e , in grado d’appello, il Tribunale di Isernia hanno accolto il ricorso del conducente.

La Pubblica Amministrazione accertante la violazione, allora, ha promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato e ha, dunque, rigettato il ricorso.

Se, da un lato, è vero che il prefetto non ha l’obbligo, nell’individuare le strade dove posizionare i velox, di precisare il senso di marcia interessato dalla rilevazione, dall’altro lato, qualora invece lo specifichi, saranno legittimi solo i rilevamenti effettuati mediante i dispositivi posizionati in conformità al provvedimento autorizzativo.

Nel caso concreto, dunque, il verbale è stato correttamente annullato.

Cass_12309_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

La sezione VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1480/2019, depositata in data 4 Marzo 2019, ha ritenuto che la realizzazione di una tettoia a servizio di un edificio sia sottratta al rilascio di un permesso di costruire qualora abbia finalità di mero arredo e di protezione dell’immobile cui accede ma non ne alteri la sua sagoma.

Il fatto

Il Tar Lazio, sezione Latina, rigettava il ricorso presentato da una signora che aveva impugnato l’ordinanza di demolizione di una tettoia prefabbricata in metallo con tamponatura bilaterale asservita all’esercizio di un’attività commerciale.

La signora proponeva appello avverso la sentenza del TAR ritenendo si trattasse di una mera pertinenza in senso urbanistico.

La pronuncia

Secondo la giurisprudenza della sezione, “il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una tettoia è necessario solo quando, per le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la sagoma dell’edificio; l’installazione della tettoia è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo dell’immobile cui accedono”.

Nel caso di specie la tettoia costruita, tamponata lateralmente, era di dimensioni tali da aver innovato il manufatto preesistente da un punto di vista morfologico e funzionale, con un’evidente variazione planivolumetrica ed architettonica che rendeva necessario il rilascio del permesso di costruire per l’installazione della tettoia.  

Consiglio di Stato, sez. VI, 4 marzo 2019 tettoia

Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

 

Con l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26843/2018, depositata in data 23 ottobre 2018, viene sancito che in caso di mancata notifica del verbale di accertamento, la cartella esattoriale è valida.

Il fatto

L’automobilista ha proposto ricorso dinanzi al Giudice di Pace, per far riconoscere la nullità della notificazione dell’atto presupposto.

Proposto l’appello, il Giudice monocratico l’ha rigettato, poiché è stata fondata l’opposizione a cartella, sulla sola deduzione che è mancata la regolare notifica del verbale, senza formulare alcuna ulteriore doglianza.

Il ricorrente propone ricorso per Cassazione.

La pronuncia

I Giudici della Suprema Corte di Cassazione, si sono espressi affermando che: nell’ambito delle opposizioni a sanzioni amministrative, è inammissibile l’opposizione a cartelle di pagamento, ove sia diretto a recuperare il momento di garanzia, con il quale, il soggetto, sostiene di non potere avvalersene per la formazione del titolo per omessa notificazione dell’atto presupposto.

_20181023_snciv@s20@a2018@n26843@tO.clean

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.