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La Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con recentissima sentenza, ha affermato che la cattiva manutenzione del manto stradale non è causa di risarcimento se l’incidente è avvenuto in fase di rallentamento a pochi metri dal semaforo rosso.

Il fatto

Il caso di specie riguarda un uomo che, alla guida del proprio ciclomotore, è caduto a causa di alcune buche presenti sul manto stradale.

Lo stesso, per comprovare quanto accaduto, ha allegato delle foto delle buche che presentavano screpolature e discontinuità tali da provocare la caduta.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che il sinistro si è verificato a pochi metri dal semaforo rosso e, per tale motivo, l’uomo, avrebbe dovuto rallentare la velocità del ciclomotore.

Corretta la visione degli Ermellini che hanno respinto definitivamente la richiesta risarcitoria avanzata dall’uomo.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Per poter fruire dei benefici “prima casa”, l’acquirente deve poter dichiarare, nell’atto di acquisto, di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare.

Il fatto

Un soggetto è proprietario di due immobili siti nel medesimo Comune.

Il primo, nel quale vive, è stato acquistato con le agevolazioni “prima casa”.

Il secondo, che è invece concesso in locazione, è stato acquistato senza fruire di queste agevolazioni fiscali.

Egli decide di vendere la propria abitazione e di comprarne un’altra, sempre nel medesimo Comune.

A suo parere, quest’ultima può essere acquistata fruendo nuovamente delle agevolazioni “prima casa”.

Infatti, la recentissima giurisprudenza della Cassazione sostiene che dette agevolazioni debbano essere estese anche a chi è proprietario di un immobile già concesso in locazione, sito nel medesimo luogo, in quanto sottoposto ad un vincolo giuridico che rende tale alloggio giuridicamente inidoneo ad essere abitato.

La pronuncia

L’Agenzia delle Entrate è, però, di parere contrario rispetto a quello della Suprema Corte.

Per poter fruire di queste agevolazioni fiscali, la normativa impone il rispetto di tre condizioni:

  1. che l’immobile sia ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca la propria residenza entro 18 mesi dall’acquisto;
  2. che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, ad alcun titolo, di altra casa situata nello stesso Comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  3. che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, ad alcun titolo, di altro immobile nel territorio nazionale acquistato con la medesima agevolazione.

È necessario, pertanto, che il secondo immobile eventualmente posseduto sia assolutamente inidoneo all’uso abitativo.

L’indisponibilità giuridica dovuta al contratto di locazione, tuttavia, non corrisponde a tale concetto di inidoneità.

Di conseguenza, l’agevolazione prima casa non può essere applicata al caso di specie.

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

 

In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso.

Di conseguenza, quanto più è possibile prevedere il danno e lo stesso è superabile attraverso l’adozione di cautele normalmente attese, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.

Il fatto

Un motociclista aveva citato in giudizio il competente Comune per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un sinistro dovuto alla presenza sul manto stradale di una buca non visibile.

I giudici del merito, sia in primo sia in secondo grado, avevano però rigettato la sua domanda perché la predetta buca era correttamente segnalata.

Egli aveva, allora, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che la Pubblica Amministrazione non avesse fornito la prova del caso fortuito, necessaria per escludere la propria responsabilità.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso infondato.

È stato accertato, infatti, che il danneggiato conoscesse la situazione dei luoghi.

Inoltre, la situazione di dissesto della strada era ampiamente visibile, essendovi sul posto idonea segnaletica stradale.

Di conseguenza, il sinistro è stato correttamente ricondotto alla sua responsabilità esclusiva.

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

La responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi è da attribuire all’ente che ha, per legge, il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, cioè il compimento della cattura e della custodia dei cani vaganti.

Il fatto

A seguito di un sinistro stradale causato dall’invasione improvvisa della carreggiata da parte di un cane randagio, il danneggiato ha citato in giudizio la ASL territorialmente competente, per ottenere il risarcimento dei danni patiti.

L’Azienda Sanitaria, costituitasi in giudizio, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e ha chiamato in causa il Comune nel cui territorio è avvenuto il sinistro.

Sia il giudice di pace, in primo grado, sia il Tribunale, in grado di appello, hanno condannato in solido il Comune e la ASL a risarcire i danni all’automobilista.

La predetta Azienda ha, allora, promosso ricorso per cassazione, in quanto l’intera responsabilità avrebbe dovuto essere addossata al Comune.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione ha però respinto detto ricorso.

Infatti, secondo i giudici di legittimità, è la ASL stessa ad essere il soggetto individuato dalla normativa quale competente in materia di prevenzione del fenomeno del randagismo.

Il Comune, invece, ha unicamente il compito di prevenzione del randagismo, che si sostanzia nel controllo delle nascite della popolazione canina e felina a fini di igiene e profilassi.

Solamente la prima, di conseguenza, è responsabile civilmente per i danni arrecati da questi animali.

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

La Cassazione Civile, Sezione Seconda, con una ordinanza del 2019, ha stabilito che il titolare della pizzeria e il proprietario dei muri devono apportare delle modifiche in caso di emanazione di fumi e odori e, il soggetto che vive nell’appartamento, per richiedere il risarcimento del danno, deve dimostrare un danno alla salute.

Il fatto

L’evento si è verificato tra il proprietario e il gestore della pizzeria e la persona che abita nel condominio.

La richiesta avanzata dal condomino è di risarcimento del danno derivante da fumi sgradevoli e odori che pervadono la sua abitazione.

L’appartamento è situato sopra all’attività di ristorazione e la canna fumaria scarica in prossimità dal suo balcone.

Sono state accolte le lamentele dell’uomo, con il conseguente ordine, al titolare e al proprietario della pizzeria, di apportare delle modifiche alle cappe e canne fumarie.

La pronuncia

La Corte di Cassazione, a seguito della richiesta di risarcimento, ha sancito che è necessario dimostrare il danno alla salute effettivamente subito dall’uomo.

L’esistenza delle immissioni non implica obbligatoriamente un danno risarcibile e la documentazione medica richiesta prodotta dall’uomo, non è stata idonea a fornire la certezza sulla «derivazione causale del disagio lamentato dal fenomeno dannoso accertato».

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Nel caso in cui il danneggiato, in seguito ad un sinistro stradale, opti per l’esercizio dell’azione risarcitoria giudiziale nei confronti dell’impresa assicuratrice del proprio veicolo (cd. procedura di indennizzo diretto), l’invio della richiesta di risarcimento dovrà essere inviata “per conoscenza” anche alla compagnia assicurativa del veicolo responsabile, a pena di improponibilità della domanda.

Il fatto

Una automobilista si è fermata per far attraversare la carreggiata a un pedone, in prossimità delle apposite strisce.

La frenata ha preso alla sprovvista la conduttrice dell’autovettura che proveniva da tergo, la quale ha dunque tamponato la prima.

A seguito della denuncia del sinistro alla assicurazione del proprio veicolo e del ricevimento del diniego di risarcimento, la danneggiata ha citato in giudizio la responsabile del sinistro e l’assicurazione di quest’ultima, per ottenere il risarcimento dei danni patiti.

Quest’ultima impresa si è costituita eccependo l’improponibilità della domanda, non avendo ricevuto, nemmeno per conoscenza, la denuncia del sinistro per cui è causa.

La pronuncia

Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda formulata, dichiarandola improponibile, e accogliendo l’eccezione della convenuta.

La procedura di indennizzo diretto costituisce una deroga al principio per cui “chi sbaglia paga”.

Nell’indennizzo diretto, infatti, la compagnia assicuratrice del mezzo danneggiato è chiamata a rispondere, in prima battuta, in virtù di una norma speciale. In ogni caso, è fatta salva la successiva regolazione del rapporto tra le due imprese assicuratrici.

L’assicuratore del veicolo responsabile del sinistro, pertanto, deve essere messo nella concreta possibilità di valutare l’opportunità dell’intervento in causa. Ciò accadrà solamente solo nell’ipotesi in cui sia stato effettivamente informato, mediante l’invio per conoscenza della lettera di messa in mora, della verificazione dell’evento, delle modalità di accadimento dei fatti e della sussistenza di eventuali danni risarcibili.

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

La Cassazione Civile, Sezione Sesta, con una ordinanza del 2019, ha precisato che in caso di presenza di una macchia ben visibile sulle scale del condominio, con conseguente caduta da parte di una persona, si esclude la responsabilità del condominio se il pericolo era prevedibile ed evitabile utilizzando l’ordinaria diligenza.

Il fatto

Il caso in oggetto riguarda una richiesta di risarcimento sottoposta all’attenzione della Cassazione, riguardo ad una caduta dalle scale per la presenza di una macchia scivolosa.

Sia in primo che in secondo grado, la domanda del danneggiato è stata rigettata, poichè non ha dimostrato, attraverso mezzi di prova, la normale diligenza nello scendere le scale.

Ha proposto ricorso per Cassazione, precisando come motivo principale l’erronea inversione dell’onere probatorio che sarebbe spettato al condominio.

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha affermato che il comportamento posto in essere dal danneggiato è l’unica causa del  verificarsi del danno, e per tale motivo, il condominio è stato esonerato, ex art. 2051 c.c., dalla responsabilità.

L’imprudenza del danneggiato, o la mancata attenzione,  possono essere tali da porsi quale fattore causale esclusivo nella produzione dell’evento.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Cassazione civile, Sezione Lavoro, nella sentenza del 2019, ha precisato che nel caso di erroneo calcolo dei contributi da parte dell’INPS, la responsabilità ricade anche sull’assicurato.

Il fatto

Il caso in oggetto riguarda la richiesta effettuata da un contribuente al’Inps, riguardo alla sua posizione contributiva.

L’Istituto ha comunicato all’uomo che aveva i requisiti per il conseguimento della pensione d’anzianità, cosicché decise di dare le dimissioni dal posto di lavoro.

In seguito ricevette una comunicazione che, tale posizione contributiva, riguardava altra persona col medesimo cognome e data di nascita.

L’Inps inviò una raccomandata con richiesta di restituzione della somma erogata.

L’uomo agì per vie legali. 

La Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, diede ragione al contribuente con riconoscimento, però, del concorso colposo nella causazione del danno

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha affermato che l’Istituto è comunque responsabile dei dati forniti sulla posizione contributiva, però ha riscontrato, nel comportamento del contribuente, un concorso di colpa, poiché con l’ordinaria diligenza, chiunque ha il dovere di limitare e interrompere un eventuale danno.

Infine, la Corte ha rigettato entrambi i ricorsi proposti dall’Inps e dal contribuente.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Va esclusa la responsabilità dell’Ente custode allorché i danni conseguenti ad una caduta siano ascrivibili unicamente al danneggiato.

Il fatto

Un signore che stava camminando di notte, su una strada illuminata, assieme ad alcuni amici, guardando le vetrine dei negozi, è inciampato su un tombino che creava un leggero avvallamento del manto stradale.

Egli ha, dunque, citato in giudizio il Comune custode di detta strada, per ottenere il risarcimento dei danni patiti.

Le sue domande, tuttavia, sono rigettate sia in primo grado, sia in appello.

Ha, allora, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che l’incidente fosse causato dall’anomalia della strada pubblica, avente da sola potenzialità lesiva idonea a cagionare l’evento.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 25436, pubblicata il 10 ottobre 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

In materia di responsabilità da cose in custodia, la giurisprudenza di legittimità ha fissato alcuni principi:

  1. il criterio di imputazione della responsabilità fondato sul rapporto di custodia opera in termini oggettivi;
  2. il danneggiato ha solo l’onere di provare il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno;
  3. il custode ha l’onere della prova liberatoria del caso fortuito;
  4. il caso fortuito è da intendersi da un punto di vista oggettivo, senza alcuna rilevanza della diligenza del custode;
  5. le modifiche improvvise della struttura della cosa divengono, col trascorrere del tempo, nuove intrinseche condizioni della cosa, di cui il custode deve rispondere.

Nel caso in esame, la disattenzione del passante ha di per sé il nesso eziologico tra cosa e danno e, quindi, escluso ogni responsabilità del Comune.

Cass_25436_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

In tema di assicurazione contro i danni, l’inosservanza, da parte dell’assicurato, dell’obbligo di dare avviso del sinistro, secondo le specifiche modalità ed i tempi previsti dall’art. 1913 c.c., non può implicare, di per sé, la perdita della garanzia assicurativa, occorrendo a tal fine accertare se detta inosservanza abbia carattere doloso o colposo. 

Il fatto

Una carrozzeria, cessionaria del credito di un soggetto danneggiato a seguito di un sinistro stradale, ha citato in giudizio la Compagnia assicurativa della vettura di quest’ultimo per ottenere il pagamento del corrispettivo per le riparazioni effettuate sul mezzo.

Sia il giudice di pace, in primo grado, sia il Tribunale, in grado di appello, hanno però rigettato la domanda in quanto il soggetto assicurato avrebbe denunciato tardivamente il sinistro alla propria assicurazione, cioè oltre i tre giorni previsti dalla legge.

La carrozzeria, allora, ha promosso ricorso per cassazione, ritenendo che la tardiva comunicazione dell’evento non fosse ascrivibile al dolo dell’assicurata e che, pertanto, ai sensi dell’art. 1915 c.c., l’indennizzo avrebbe dovuto essere ridotto ma non escluso.

La pronuncia

Con la sentenza n. 24210, pubblicata il 30 settembre 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso.

I giudici hanno osservato come, da un lato, l’art. 1913, co. 1, c.c. disponga che “l’assicurato deve dare avviso del sinistro all’assicuratore (…) entro tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o l’assicurato ne ha avuto conoscenza”; dall’altro lato, l’art. 1915, co. 1, c.c., preveda che “l’assicurato che dolosamente non adempie l’obbligo dell’avviso (…) perde il diritto all’indennità” e, al co. 2, che “se l’assicurato omette colposamente di adempiere tale obbligo, l’assicuratore ha diritto di ridurre l’indennità in ragione del pregiudizio sofferto”.

Alla luce di queste norme, la giurisprudenza ha stabilito il principio secondo il quale l’inosservanza, da parte dell’assicurato, dell’obbligo di dare avviso del sinistro non possa implicare, di per sé, la perdita della garanzia assicurativa. A tal fine occorre sempre accertare se detta inosservanza abbia carattere doloso o colposo, dato che nella seconda ipotesi il diritto all’indennità non viene meno, ma si riduce in ragione del pregiudizio sofferto dall’assicuratore.

Di conseguenza, la carrozzeria ha il diritto ad ottenere un indennizzo, seppur ridotto.

Cass_24210_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.