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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23943/2019, depositata in data 25 settembre 2019, ha statuito che le luci che sono state aperte su un fondo di terzi, con lo scopo di arieggiare e dare luminosità, possono costituire oggetto di servitù «costituita per destinazione del padre di famiglia».  

Il fatto

Nel complesso di un edificio, due coniugi, proprietari di un appartamento, hanno denunciato la costruzione di un gabbiotto nel cortile dello stabile, accostato al muro perimetrale adiacenza alla veranda dei suddetti attori.

I coniugi hanno domandato al convenuto la chiusura della finestra, nonostante che tale manufatto, secondo testimonianze, fosse stato costruito antecedentemente all’acquisto del loro appartamento. 

La pronuncia

In base a un già assodato principio della Cassazione, le luci che si aprono sul fondo altrui, fra un vano e l’altro dello stesso edificio, possono costituire oggetto di servitù «costituita per destinazione del padre di famiglia».

Pertanto, è preclusa la questione della finestra nel giudizio definito con la sentenza gravata, secondo costante orientamento giurisprudenziale, nel giudizio di rinvio opera l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio.

Il ricorso è stato rigettato.

luce aperta

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con sentenza n. 40482 del 12 settembre 2018, la V sezione penale della Corte di Cassazione ha riaffermato, in conformità con orientamento unanime, che il delitto di violenza privata viene integrato dall’esercizio di una coazione sulla volontà della persona offesa qualunque sia il mezzo utilizzato per incidere sulla libertà di autodeterminazione della vittima.

Il fatto

Il ricorrente veniva condannato dalla Corte d’Appello di Trieste per il delitto di violenza privata di cui all’art. 610 c.p..

Lo stesso, infatti, affermava di vantare un diritto di servitù di passaggio attraverso il fondo attiguo alla sua proprietà e, pertanto, vi transitava di continuo anche senza il consenso del vicino proprietario.

Quest’ultimo, al fine di limitare il traffico, si decideva a chiudere il cancello posto a delimitazione delle due proprietà, considerato anche il fatto che il proprio vicino godeva di un ulteriore accesso alla pubblica via.

Tuttavia, non condividendo il rifiuto oppostogli, il ricorrente impediva la chiusura del cancello, parcheggiando ripetutamente la propria automobile e frapponendosi egli stesso nella traiettoria della cancellata, motivo per il quale veniva condannato nei primi due gradi di giudizio.

La pronuncia

Con i motivi a supporto dell’impugnazione veniva contestato, in particolare, come i fatti oggetto del procedimento non potessero essere ricondotti alla categoria dei comportamenti “violenti”, traducendosi più che altro in comportamenti di carattere passivo, perciò non idonei ad integrare una vera e propria violenza privata.

Il Collegio rigettava il ricorso, sostenendo, in armonia con l’unanime interpretazione rinvenuta in giurisprudenza, che l’elemento della violenza si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza definita “impropria”, attuata cioè mediante l’uso di mezzi anomali che siano diretti ad esercitare pressioni sulla libertà altrui.

A titolo esemplificativo, il Collegio elencava alcune precedenti decisioni che, sulla base del medesimo principio, avevano esteso l’ambito di applicazione del delitto di violenza privata alle condotte:

  • di colui che occupi il parcheggio riservato ad una persona invalida (cfr. Corte di Cassazione, sez. V penale, sent. 17794/2017);

  • di chi parcheggia la propria vettura dinanzi ad un fabbricato in modo da bloccare il passaggio (cfr. Corte di Cassazione, sez. V penale, sent. 8425/2013);

  • del partecipante ad una manifestazione di protesta che impedisca agli operai di svolgere i lavori previsti per l’esecuzione di un’opera pubblica, ponendo in essere comportamenti idonei a bloccare l’utilizzo dei macchinari (cfr. Corte di Cassazione, Sez. V penale, sent. n. 48369/2017).

In conclusione, il delitto di violenza privata deve ritenersi integrato da qualsiasi coazione esercitata sulla persona offesa idonea a incidere sulla sua libertà di autodeterminazione, qualunque sia il mezzo utilizzato purché idoneo allo scopo.

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Dott. Enrico Pomarici

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Trento nel 2016, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo. Si occupa di diritto penale.