L’espressione “ricevere cosa proveniente da delitto”, di cui all’art. 648 c.p., si riferisce a qualsiasi possesso, anche temporaneo, della cosa.
Il fatto
Un autotrasportatore è stato indagato per aver tenuto a bordo del proprio mezzo 39 scatoloni, contenenti ciascuno 25 kg di stoccafisso provento di furto.
Il Tribunale di Genova, all’esito del processo di primo grado, lo ha assolto dal reato di ricettazione perché, pur essendosi raggiunta la prova della provenienza delittuosa della merce trasportata, non si è escluso che il medesimo trasportatore ne avesse unicamente la detenzione, di per sé insufficiente ad integrare il reato ascrittogli.
La Corte d’Appello di Genova, in secondo grado, ha invece riconosciuto la responsabilità penale dell’imputato, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
Quest’ultimo, dunque, ha promosso ricorso per cassazione, ritenendo che i giudici di merito avessero errato nel non distinguere il possesso della merce rubata dalla mera detenzione della stessa.
La pronuncia
Con la sentenza n. 20871, pubblicata il 15 maggio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando dunque la sentenza di secondo grado.
La consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, riconosce che il delitto di ricettazione si possa riferire anche a chiunque detenga la cosa di illecita provenienza, in quanto questa incriminazione tende ad impedire che soggetti diversi da coloro che hanno commesso un delitto appaiano interessati dalle cose provenienti da esso, al fine di trarne un vantaggio anche temporaneo.
Avv. Mattia Verza
Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.