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In caso di pioggia, è del tutto normale che la banchina di una stazione ferroviaria sia bagnata e, pertanto, in caso di caduta a terra di un passeggero, l’azienda custode della stazione medesima non può essere ritenuta responsabile per non averne impedito l’accadimento o limitato il pericolo.

Il fatto

Nel 2011, una signora milanese che stava prendendo la metro in un giorno di pioggia, è scivolata a causa della presenza di una sostanza liquida presente sulla banchina della fermata della metropolitana.

Questa ha, dunque, citato in giudizio l’Azienda Trasporti Milanesi per ottenere il risarcimento dei danni patiti e il Tribunale meneghino ha, in primo grado, accolto la sua domanda.

La Corte d’Appello, tuttavia, ha riformato la prima decisione e ha escluso la responsabilità dell’azienda, in quanto questa avrebbe provato l’esistenza del caso fortuito.

La danneggiata, allora, ha promosso ricorso per cassazione, perché l’azienda convenuta non avrebbe dimostrato di aver adottato tutte le misure idonee ad impedire il pericolo.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 23189, pubblicata il 17 settembre 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando le ragioni della signora.

La presenza di umidità sulla banchina di una stazione pubblica, infatti, in una giornata di pioggia, è del tutto ordinaria.

Ciò ha reso la stessa banchina del tutto conforme alle condizioni normali che essa assume in caso di pioggia.

Tanto basta ad escludere che la cosa si presentasse pericolosa al di là di quanto connaturato all’uso pubblico nella condizione di pioggia. 

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Con la recente sentenza n. 3720/2019, pubblicata l’8 febbraio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che il pregiudizio esistenziale è risarcibile solo se supera una sufficiente soglia di gravità dei diritti lesi.

Il fatto

L’attore, utilizzando quotidianamente il treno, come migliaia di altre persone durante il giorno, ha lamentato: la scarsa puntualità, le precarie condizioni igieniche dei vagoni, il continuo sovraffollamento e l’impossibilità di trovare posto all’interno per sedersi.

Tutto ciò, secondo lo stesso, gli ha creato un peggioramento sensibile della vita.

Inoltre, per i continui ritardi, ha dovuto modificare la sua vita lavorativa, attinendosi, non tanto agli impegni lavorativi giornalieri, bensì ai cronici ritardi ai quali il soggetto era obbligato a sottostare, apportandogli: ansia, stress e stanchezza cronica.

In primo grado, la domanda attorea era stata accolta; in Appello, al contrario, è stata respinta, poichè non è stato prodotto, nè allegato,  alcunchè per dimostrare il danno non patrimoniale dallo stesso subito.

Il pendolare,avrebbe dovuto dimostrare che, dalla precarietà dei servizi ferroviari, sarebbe derivata una modifica dello stile di vita in senso negativo.

La pronuncia

La Corte, non ha negato in modo assoluto la possibilità di riconoscere il “danno da stress”, però, per l’ammissibilità, deve essere dimostrato un effettivo superamento del limite di tollerabilità.

Deve sussistere una grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona.

Gli Ermellini, hanno affermato che il risarcimento non si può riconoscere sulla base di: ritardi, fastidi e noie, poichè vige il principio di tolleranza che ogni concittatino deve avere.

In conclusione,  la Cassazione ha ritenuto di non accogliere la domanda del pendolare, affermando che un risarcimento è ammissibile solo se è stata superata la soglia di sufficiente gravità e compromissione dei diritti lesi, quale limite imprescindibile al risarcimento del danno non patrimoniale.

Studio Legale Damoli

Risarcimento danno non ammissibile per i pendolari