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La nozione di violenza è riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare, o omettere qualcosa, indipendentemente dall’esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico.

Il fatto

Un ragazzo a bordo della propria automobile ha seguito la vettura condotta dalla propria ex fidanzata fuori da una discoteca, tentando di fermarla per discutere con lei.

Una volta che quest’ultima ha accostato, lui ha estratto con la forza la ragazza dall’abitacolo dell’auto, nonostante la chiara manifestazione di volontà contraria della stessa.

Dopo essere stato querelato dalla giovane, l’uomo è stato condannato, sia in primo grado, sia in appello, ad una pena detentiva, condizionalmente sospesa, per il reato di violenza privata.

L’imputato ha, allora, promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

Con la sentenza n. 35092, pubblicata il 31 luglio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Il delitto di violenza privata, secondo gli Ermellini, tutela la libertà psichica dell’individuo e reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge.

Il requisito della violenza, inoltre, si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa.

Può consistere anche in una violenza impropria, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui.

Per tali ragioni, hanno confermato la condanna impartita dai giudici di merito al giovane ragazzo.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Oggigiorno è, purtroppo, solito sentire tra i fatti di cronaca di relazioni sentimentali o coniugali che, una volta terminate, sfociano in una serie di comportamenti (minacce, sms ossessivi, pedinamenti, telefonate, etc.) posti in essere dal partner che non si rassegna alla rottura del rapporto, i quali configurano il reato di atti persecutori, previsto e punito dall’art. 612 bis c.p., che la letteratura scientifica identifica con il termine stalking (cfr. FIANDACA G., MUSCO E., Diritto penale. Parte speciale Vol. II – tomo I: I delitti contro la persona, 3^ed., Zanichelli, Bologna, 2011).

La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente sul rapporto tra questo delitto e l’applicazione delle misure cautelari.

Il fatto

Con ordinanza del 17 ottobre 2017, il Tribunale del Riesame di Roma ha confermato il provvedimento del 29 settembre 2017 con il quale il GIP del Tribunale di Roma ha applicato nei confronti di un uomo la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dall’ex moglie, per condotte a lui ascrivibili in relazione all’imputazione provvisoria di atti persecutori in danno della stessa, minacciata e molestata a mezzo telefono, Fb e whatsapp.

Avverso tale ordinanza l’ex marito ha proposto ricorso in Cassazione, evidenziando che le minacce a lui ascritte non si sono mai concretizzate e che, comunque, si è trattato di un solo episodio isolato ancor prima dell’applicazione della misura cautelare.

La pronuncia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21693 pubblicata il 16 maggio 2018, ha dichiarato il ricorso non ammissibile.

Il giudice del riesame, infatti, ha correttamente sottolineato la gravità di due messaggi minacciosi, inviati dall’uomo all’ex coniuge, idonei ad evidenziare come le condotte poste in essere dallo stesso avessero causato nella persona offesa un fondato timore, tale da determinare “in una persona comune” un effetto destabilizzante (Sez. 5, n. 24135/12, Rv. 253764; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 17795/17, Rv. 269621).

Le misure adottate, pertanto, sono risultate pienamente adeguate.

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Dott. Tommaso Carmagnani

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo. Si occupa di diritto civile, con maggior riguardo al diritto di famiglia.