Nel caso di acquisto di un bene immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione.
Oltre al concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, occorre l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione della comunione elencate all’art. 179, co. 1, lett. c), d) ed f), c.c..
Il fatto
Due coniugi hanno contratto matrimonio nel 1970.
Nel 1988, la moglie ha acquistato un immobile con denaro personale, prevedendo nell’atto di acquisto che fosse escluso dalla comunione legale.
Nel 2006 è stato dichiarato il fallimento del marito, quale socio unico illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo.
Il curatore del fallimento ha trascritto la sentenza di fallimento sull’immobile detto in precedenza, sul presupposto che la partecipazione al contratto del coniuge (formalmente non acquirente) ed il suo assenso all’acquisto personale in favore dell’altro coniuge non fossero elementi sufficienti ad escludere l’acquisto dalla comunione legale.
La proprietaria dell’immobile ha allora citato in giudizio il curatore per ottenere la cancellazione della trascrizione della sentenza di fallimento.
Sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello di Napoli, hanno rigettato le richieste dell’attrice.
Quest’ultima ha, quindi, promosso ricorso per cassazione.
La pronuncia
Con l’ordinanza n. 7027, pubblicata il 12 marzo 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito.
Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, infatti, “mancando la prova della sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione legale di cui all’art. 179 c.c., lett. c), d) ed f), la mera partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di trasferimento e la sua dichiarazione circa la natura dei beni non comport[a] l’esclusione dei beni medesimi, acquistati in regime di comunione legale, dalla comunione stessa“.
La domanda formulata dalla proprietaria dell’immobile, dunque, avrebbe dovuto essere volta ad accertare la sussistenza dei presupposti di fatto dell’esclusione dei beni dalla comunione, non essendo all’uopo sufficiente la mera dichiarazione contenuta nell’atto di vendita.
Cass_7027_2019
Avv. Mattia Verza
Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.