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Il provvedimento emesso dal Tribunale di Verona, il giorno 19 giugno 2024, ha assunto una specifica presa di posizione nel dibattito concernente il riconoscimento, o meno, della prededuzione al compenso del professionista che assiste il debitore nella presentazione del ricorso per la dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale, tematica sulla quale la giurisprudenza di merito si è divisa.

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Da un lato vi è un orientamento favorevole al riconoscimento della prededuzione, considerato che anche la liquidazione giudiziale rientra tra gli strumenti a cui l’imprenditore può attingere per risolvere il proprio stato di crisi, in particolar modo nei casi in cui non vi siano i presupposti per la continuità aziendale; pertanto, non sarebbe ragionevole riconoscere la prededuzione al credito maturato dal professionista soltanto nel caso previsto dall’articolo 6 del CCII, in cui lo strumento utilizzato sia stato quello degli accordi di ristrutturazione o del concordato preventivo, per cui l dato letterale può essere superato virgola in via interpretativa, in ragione dell’eadam ratio che accomuna le fattispecie disciplinate.

Inoltre, analizzando la legge fallimentare, la giurisprudenza di legittimità era ferma nel prevedere la prededuzione al credito dei professionisti che avessero assistito il debitore nella presentazione della domanda di fallimento in proprio.

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Dall’altro lato, vi è un orientamento contrario al riconoscimento della prededuzione, tra cui rientra il provvedimento del Tribunale di Verona, il quale precisa il carattere categorico alle ipotesi previste dall’articolo 6 CCII, per cui la norma non si presta all’interpretazione analogica ed estensiva ad altre fattispecie non espressamente richiamate dal legislatore.

La circostanza per cui il legislatore nulla prevede riguardo ai compensi dei professionisti che assistono il debitore nella domanda di apertura di liquidazione giudiziale, si giustifica in considerazione del fatto che la liquidazione stessa si differenzia dalle altre procedure concorsuali in quanto non mira specificamente alla soluzione della gestione della crisi ma piuttosto la liquidazione integrale del patrimonio del debitore.

Con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione del giorno 8 novembre 2023, n. 31091, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la notificazione della citazione tentata, e non rinnovata dall’opponente con immediatezza e tempestività, presso il domicilio con il ricorso monitorio e con esito negativo per irreperibilità del destinatario, è inesistente e, perciò, non suscettibile di sanatoria ex art. 156, c. 3, c.p.c. a seguito della costituzione in giudizio dell’opposto.

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Pertanto, in base alle forme degli atti processuali e del giusto processo, l’inesistenza si verifica quando la notificazione è mancante e, quindi, priva degli elementi costitutivi essenziali (che si identificano nella trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, della possibilità giuridica di compiere la predetta attività, in modo da potere ritenere individuabile il potere posto in essere, e nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento dell’esito positivo della notificazione previsti dall’ordinamento), ricadendo ogni altra possibilità di disuguaglianza del modello legale nella categoria della nullità.

In tema di notificazioni, l’art. 139 c.p.c. non dispone alcun ordine da seguire nelle ricerche del luogo, potendo scegliere di eseguire la notifica presso la casa di abitazione o l’ufficio, purché si tratti di luogo situato nel Comune di residenza del destinatario.

È, dunque, nulla la notifica effettuata con le modalità previste dall’art. 143 c.p.c., quando è noto il luogo di lavoro del destinatario.

Il fatto

Una società ha notificato un decreto ingiuntivo ad una persona fisica, ai sensi dell’art. 143 c.c..

In seguito, il medesimo creditore ha notificato atto di precetto presso il luogo di lavoro del debitore.

Quest’ultimo ha proposto, dunque, un’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, che è stata accolta dal Tribunale di Taranto, il quale ha dichiarato la nullità della prima notifica ex art. 143 c.p.c..

La Corte d’Appello di Lecce ha, invece, ritenuto inammissibile l’opposizione e ha annullato la sentenza del giudice di primo grado.

Il debitore ha, dunque, promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

La Suprema Corte ha ritenuto infondata la pretesa secondo cui, non avendo reperito alcun campanello presso l’indirizzo di residenza, l’ufficiale giudiziario avrebbe dovuto eseguire una seconda notifica presso l’ufficio del destinatario.

L’art. 139 c.p.c., infatti, nel prescrivere che la notifica si esegue nel luogo di residenza del destinatario e nel precisare che questi va ricercato nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche.

In ogni caso, secondo la costante giurisprudenza di legittimità in tema di notificazioni ex art. 143 c.p.c., qualora l’ufficiale giudiziario non abbia rinvenuto il destinatario presso l’abitazione risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca  ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi altrimenti nulla la notificazione.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.