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Con la sentenza n. 4920/2019, pubblicata il 31 gennaio 2019, la Sesta Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione ha ribadito il principio generale secondo cui la commercializzazione di un bene che non presenti intrinseche caratteristiche di illiceità deve ritenersi consentita, nell’ambito del generale potere delle persone di agire per il soddisfacimento dei loro interessi.

Il fatto

Ad un commerciante di cannabis light sono state sequestrate delle infiorescenze, perché risultate contenere THC compreso tra lo 0,52% e lo 0,65%.

Il Tribunale di Macerata ha rigettato l’istanza di riesame proposta dallo stesso rivenditore, in quanto ha ritenuto che la L. n. 242/2016 (intitolata “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”) non riguardi scopi ricreativi, bensì unicamente la coltivazione.

Il proprietario dei beni sequestrati ha, quindi, presentato ricorso per cassazione, ritenendo che il mancato inserimento del commercio di infiorescenze nell’elenco delle attività lecite non escluda che esso sia lecito, qualora vengano rispettati i limiti di THC fissati dalla legge. Sarebbe, infatti, incongruo ritenere lecita la produzione delle infiorescenze e non la commercializzazione, senza alcuna modifica, delle stesse.

La pronuncia

La Suprema Corte ha accolto le ragioni del ricorso, annullando l’ordinanza di sequestro preventivo.

I giudici del Palazzaccio hanno ritenuto (conformemente alla giurisprudenza di merito ed alla dottrina) che la liceità della vendita al dettaglio delle infiorescenze sarebbe un corollario logico-giuridico dei contenuti della L. n. 242/2016.

In sostanza, dalla liceità della coltivazione della cannabis è derivata la liceità dei suoi prodotti, contenenti il principio attivo THC inferiore allo 0,6%. La fissazione di detto limite ha rappresentato un ragionevole equilibrio fra le esigenze precauzionali relative alla tutela della salute e le conseguenze inevitabili della commercializzazione dei prodotti delle coltivazioni.

Il D.P.R. n. 309/1990 (il testo unico in materia di sostanze stupefacenti), che disciplina anche la repressione delle attività illecite, perciò, non può mai riguardare la commercializzazione di prodotti dei quali è riconosciuta la liceità.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.