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La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che il datore di lavoro può sorvegliare i propri dipendenti se ha il timore che, gli stessi, rubino o siano in atto ingenti perdite.

Il fatto

Il caso in oggetto riguarda un manager spagnolo di un supermercato che si è reso conto che le scorte del magazzino e del venduto giornaliero non corrispondevano agli incassi.

La perdita si aggirava attorno ad Euro 82.000.00.

Il manager, così, decide di far installare delle telecamere nascoste puntate sulle casse ed altre, visibili, al di fuori del supermercato.

I dipendenti licenziati, colti nell’atto di rubare, decidono di fare causa invocando la violazione della privacy.

La pronuncia

I giudici di Strasburgo hanno sancito che, stante le circostanze, non vi è stata alcuna violazione del diritto alla privacy, poichè l’apposizione delle videocamere era giustificata dalle ingenti perdite subite dal supermercato.

Infine, è stato precisato che le videocamere sono rimaste posizionate in una zona pubblica, per una durata minima di 10 giorni, con la visione, dei filmati, solo da parte di un numero ristetto di persone.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Il giustificato motivo oggettivo, necessario per la legittimità del licenziamento, si sostanzia in ogni modifica della struttura organizzativa dell’impresa, che abbia quale suo effetto la soppressione di una determinata posizione lavorativa, indipendentemente dall’obiettivo perseguito dall’imprenditore, sia esso un incremento della produttività, oppure la necessità di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli.

Il fatto

Un lavoratore ha impugnato il provvedimento con il quale il datore di lavoro lo ha licenziato per giustificato motivo oggettivo in quanto, nonostante fosse vero che i profitti dell’azienda fossero calati, i risultati di gestione sono risultati comunque positivi.

Sia il Tribunale, in primo grado, sia la Corte d’Appello, in secondo, hanno accolto le ragioni del dipendente, condannando l’imprenditore al pagamento delle differenze di retribuzione.

Quest’ultimo ha, allora, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che il licenziamento in esame rientrasse nell’ipotesi di riassetto organizzativo dell’impresa, in considerazione del minore volume d’affari e dell’andamento negativo dei ricavi aziendali.

La pronuncia

Con la sentenza n. 19302, pubblicata il 18 luglio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso.

La giurisprudenza di legittimità ha, da tempo, pronunciato il principio secondo il quale “le ragioni dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero all’incremento della redditività dell’impresa, che determinano un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso al sopressione di un posto di lavoro, possono legittimare il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo” (Cass. Sez. Lav. 25201/2016).

Pertanto, la costante riduzione dei ricavi, il calo delle vendite ed il dilagare della crisi economica rendono legittima la decisione del datore di lavoro di ridurre il personale dipendente.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

Con la recente ordinanza n. 31185 del 3 dicembre 2018, la Suprema Corte di Cassazione ha delineato i limiti della responsabilità di una banca per il fatto illecito commesso dai propri dipendenti.

Il fatto.

Due attori, persone fisiche, hanno convenuto in giudizio la Banca, chiedendo l’accertamento dell’insussistenza di loro obbligazioni nei confronti del medesimo Istituto di credito sulla base delle movimentazioni relative al conto corrente loro cointestato, nonché la condanna della parte convenuta al risarcimento dei danni subiti per essere stati imputati del reato di appropriazione indebita.

La banca ha chiamato in manleva due propri dipendenti, autori materiali delle condotte fonte di danno.

Il Tribunale di Lodi ha solamente accolto la domanda di accertamento negativo degli attori, rigettando la richiesta di condanna nei confronti dei dipendenti della Banca.

La Corte d’Appello di Milano ha anche condannato la Banca al risarcimento dei danni patiti dagli attori.

La pronuncia.

Sul ricorso promosso dall’Istituto, la Corte ha stabilito che “la responsabilità della banca per fatto illecito dei suoi dipendenti scatta ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile all’attività lavorativa del dipendente, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia rimasto comunque nell’ambito dell’incarico affidatogli“.

Studio Legale Damoli

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