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Il T.A.R. Campania, con una sentenza del 2019, ha affermato che la stipulazione del contratto di locazione non sia idonea a escludere i doveri di controllo, cura e vigilanza sorti in capo al proprietario dell’immobile, che è responsabile degli abusi edilizi commessi dal conduttore, al quale ha trasferito la disponibilità materiale e il godimento del bene.

Il fatto

Il proprietario di un immobile impugnava l’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, emessa dal Comune di Pagani, perché aveva appreso dell’esistenza di interventi abusivi realizzati dal conduttore solo a seguito della notifica del provvedimento.

Il Comune e il conduttore non si costituivano in giudizio.

La pronuncia

Il T.A.R. Salerno, aderendo ad un orientamento consolidato della giurisprudenza, ha ritenuto che sia indifferente la circostanza che il proprietario dell’immobile, sul quale è stato realizzato l’abuso, non sia in realtà l’autore materiale dello stesso. L’ordine di demolizione e riduzione in pristino dello stato dei luoghi è un atto di tipo ripristinatorio, che è rivolto nei confronti di chi è in un rapporto con la res tale da assicurare l’eliminazione delle conseguenze dell’abuso tramite la rimozione delle opere realizzate. 
 
Nel caso di specie, il proprietario non aveva partecipato alla realizzazione dell’abuso ma è venuto meno ai suoi obblighi di vigilanza e controllo sull’immobile locato, sorti con la stipulazione del contratto determinandone la sua responsabilità.  

 

Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

 

 

 

Seppur in accoglimento del lamentato vizio di motivazione, i Giudici della Corte di Cassazione, con sentenza n. 5803 del 28 febbraio scorso, concludono per la legittimità del recesso anticipato comunicato dalla società conduttrice dell’immobile commerciale ex art. 27, u.c., L. n. 392/1978 motivato dallo stato di crisi.

Il fatto

La società Alfa aveva concesso in affitto alla società Beta un immobile adibito ad ufficio il cui canone, a distanza di qualche tempo, si era rivelato troppo oneroso per Beta che stava attraversando un periodo di difficoltà.

Alla luce di tale situazione e dopo aver già ottenuto una riduzione del canone, Beta decideva di comunicare ad Alfa il recesso dal contratto per gravi motivi, allegando diverse circostanze quali la contrazione del fatturato, la presenza di perdite consistenti, l’esistenza di esuberi e l’avvio della contrattazione di solidarietà. Una volta concluso il periodo di preavviso, indicato dalla legge in sei mesi dalla comunicazione di recesso, la società Beta interrompeva quindi il pagamento del canone ritenendo risolto il contratto.

La società Alfa, reputando illegittimo il recesso comunicato da Beta, richiedeva ed otteneva dal Tribunale di Padova un decreto ingiuntivo nei confronti della società conduttrice per il pagamento dei canoni maturati successivamente al preavviso di recesso.

Beta proponeva quindi opposizione al decreto chiedendo la revoca del medesimo ed, in via riconvenzionale, l’accertamento della legittimità del recesso per gravi motivi, per altro mai contestati dalla società locatrice.

Il Tribunale in primo grado rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo.

La Corte d’Appello adita da Beta, pur dando atto dello stato di crisi, sottolineava che la situazione di Beta non era a lei sconosciuta né poteva ritenersi imprevedibile. Anzi, sulla base della crisi aveva già richiesto ed ottenuto una diminuzione del canone. Pertanto la Corte, confermando la sentenza di primo grado, rigettava il gravame ritenendo il recesso di Beta illegittimo.

La pronuncia

La società Beta ha quindi proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello denunciando un vizio di motivazione. I Giudici del gravame, infatti, dopo aver premesso l’esistenza dello stato di crisi in cui versava la conduttrice, hanno concluso illogicamente per l’inesistenza dei gravi motivi a sostegno del comunicato recesso.

La Corte di Cassazione, in accoglimento del motivo esposto, ha affermato che “in tema di recesso del conduttore dal contratto di locazione, i gravi motivi di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 27, comma 8, devono essere determinati da fatti estranei alla volontà del medesimo, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione”. In tale prospettiva vanno valutate le scelte compiute dall’impresa per far fronte “a sopravvenute esigenze di economicità e produttività”. Secondo la Corte di Cassazione, inoltre, “ove il locatario svolga la propria attività in diversi rami di azienda, per i quali utilizzi distinti immobili, i gravi motivi, giustificativi del recesso anticipato (…) devono essere accertati in relazione all’attività svolta nei locali per cui viene effettuato il recesso, senza possibilità per il locatore di negare rilevanza alle difficoltà riscontrate per tale attività in considerazione dei risultati positivi registrati in altri rami azienda.

Cass. Civ. sentenza n. 5803-2019

Avv. Alessandro Martini

Si laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento nel novembre del 2011 con una tesi in diritto tributario sulla fiscalità dei nuovi strumenti finanziari partecipativi. Ad ottobre 2012 consegue un master di secondo livello presso l’Alta scuola di studi tributari A. Berliri di Bologna e si iscrive presso l’Ordine degli Avvocati di Trento nel 2017.

In tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, solo la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per il mancato esercizio da parte del locatore della facoltà di diniego di rinnovazione, è un effetto automatico derivante dalla legge e, pertanto, in caso di pignoramento immobiliare, non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione.

Il fatto

Tre comproprietari di un appartamento, da un lato, e un conduttore, dall’altro, hanno stipulato un contratto di locazione, con previsione di rinnovo quadriennale automatico in assenza di tempestiva disdetta.

Le quote di proprietà di due locatori sono state sottoposte a pignoramento immobiliare.

L’altro comproprietario, allora, ha agito in giudizio per far rilevare l’avvenuta automatica cessazione del rapporto per la successiva scadenza, non essendo intervenuta l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per la rinnovazione della locazione.

La Corte d’Appello meneghina, in riforma della sentenza di primo grado, ha però rigettato la domanda, essendo necessario il consenso di tutti i comproprietari per la disdetta dal contratto di locazione.

L’attore ha, quindi, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che gli altri proprietari, siccome titolari di quote pignorate, e in mancanza di autorizzazione del giudice, non possedessero alcuna legittimazione all’esercizio dei diritti connessi al titolo dominicale.

La pronuncia

Con la sentenza n. 19522, pubblicata il 19 luglio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto le ragioni del ricorrente.

La giurisprudenza, infatti, ritiene che la rinnovazione tacita del contratto alla seconda scadenza contrattuale, a seguito del mancato esercizio da parte del locatore della facoltà di disdetta, costituisce una libera manifestazione di volontà negoziale.

Da ciò consegue che, in caso di pignoramento dell’immobile locato eseguito in data antecedente la scadenza del termine per l’esercizio di detta facoltà, la rinnovazione necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione.

In mancanza, come nel caso di specie, si determina l’automatica cessazione dell’efficacia del contratto.

Cass_19522_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e commerciale, con particolare riferimento al settore real estate.

I gravi motivi, previsti dalla legge per recedere in qualsiasi momento da un contratto di locazione di immobili adibiti ad uso commerciale, devono essere fatti estranei alla volontà del conduttore e devono essere imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendergli eccessivamente gravosa la sua prosecuzione.

Il fatto

Un’impresa in crisi finanziaria ha rinegoziato con il proprietario dei propri locali commerciali le condizioni economiche del contratto di locazione.

Non riuscendo, però, a risanare la situazione di indebitamento, ha comunicato al locatore il recesso anticipato dal contratto di locazione, con un preavviso di sei mesi.

Quest’ultimo, per contro, ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Padova un decreto con il quale è stato ingiunto all’impresa il pagamento dei canoni scaduti relativi al periodo successivo alla liberazione dell’immobile da parte del conduttore.

L’azienda si è opposta a detto provvedimento, chiedendo l’accertamento della legittimità del recesso anticipato dal contratto di locazione, stante la sussistenza dei gravi motivi previsti dall’art. 27 della L. 392/1978.

I giudici di merito, sia in primo grado sia in appello, hanno rigettato le richieste del conduttore.

L’impresa ha quindi promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

Gli Ermellini, con la sentenza n. 5803, pubblicata il 28 febbraio 2019, hanno accolto i motivi dell’azienda e, quindi, hanno dichiarato che nulla è dovuto al proprietario dei locali.

Secondo l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, “i comportamenti determinati da fatti estranei alla volontà dell’impresa, imprevedibili alla costituzione del rapporto e sopravvenuti ad esso, pur essendo volontari in quanto volti a perseguire un adeguamento strutturale dell’azienda, possono integrare i gravi motivi posti a base del recesso anticipato“.

Al fine di valutare lo stato di crisi finanziaria, inoltre, qualora il locatore svolga la propria attività in diversi rami d’azienda, per i quali utilizzi distinti immobili, i gravi motivi devono essere accertati in relazione all’attività svolta nei locali per cui è richiesto il recesso. Il locatore è legittimato, per contro, ad opporre i risultati positivi registrati negli altri rami aziendali.

Cass_5803_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Il locatore, in caso di anormale usura dell’immobile, ha diritto al risarcimento del danno consistente sia nella somma di denaro occorrente per la riparazione dell’immobile medesimo, sia nel mancato guadagno ritraibile dalla cosa nel periodo di tempo necessario per l’esecuzione dei lavori.

Il fatto

I proprietari di un immobile concesso in locazione ad un ente pubblico hanno proposto ricorso per consulenza tecnica preventiva, con l’obiettivo di accertare l’entità dei danni arrecati all’immobile dalla p.a., nonché individuare e quantificare le opere necessarie per ripristinare lo stato dei luoghi.

All’esito della successiva causa di merito, il Tribunale di Catanzaro ha preso atto dell’esistenza di detti gravi danni e, di conseguenza, ha condannato il conduttore al risarcimento dei danni, oltre al pagamento di una indennità commisurata al periodo di tempo occorrente ai proprietari per il restauro dell’immobile.

La Corte d’Appello della medesima città, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’ente, ha invece ritenuto che nessun risarcimento o indennità spettasse ai proprietari a titolo di ristoro della perduta possibilità di locare l’immobile a terzi durante il periodo occorrente per il restauro.

I locatori hanno, quindi, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che nell’ipotesi in cui il conduttore restituisca l’immobile in condizioni tali da chiedere un restauro, il danno sarebbe in re ipsa.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 6596, pubblicata il 7 marzo 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei proprietari perché fondato.

In primis, ha confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “qualora, in violazione dell’art. 1590 c.c., al momento della riconsegna dell’immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto a normale uso dello stesso, incombe al conduttore l’obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l’esecuzione ed il completamento di tali lavori, senza che, a quest’ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di aver ricevuto – da parte di terzi – richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori“.

In secondo luogo, si è precisato come il risarcimento dovuto al locatore in conseguenza della mancata disponibilità del bene durante il periodo occorrente per il restauro non costituisca un danno in re ipsa. L’indisponibilità è invece equiparata alla mancata restituzione dell’immobile. Ne consegue che è, in ogni caso, dovuto per questo periodo al proprietario il corrispettivo convenuto in sede di contratto, salva la prova del maggior danno.

Cass_6596_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Con l’ordinanza n. 5794, pubblicata il 28 febbraio 2019, la Corte di Cassazione ha delineato la nullità del contratto di locazione stipulato verbalmente e ha riconosciuto il diritto dell’inquilino ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate al proprietario di casa.

Il fatto

Il proprietario di un appartamento lo ha affittato per il periodo dal marzo 2011 all’agosto 2012 al canone di 900 euro mensili, senza tuttavia registrare alcun contratto.

Nel marzo 2012, tuttavia, su richiesta dell’inquilino, il locatore ha registrato un contratto di locazione nel quale è previsto un canone inferiore a quello effettivamente corrisposto, pari a 400 euro mensili.

Il conduttore, allora, lo ha convenuto in giudizio chiedendo la restituzione delle somme indebitamente pagate, corrispondenti ad euro 500 mensili per tutta la durata del contratto.

Sia il Tribunale di Lucca, in primo grado, sia la Corte d’Appello di Firenze, in secondo, hanno però rigettato la domanda. Secondo i giudici del merito, il contratto di locazione intercorso tra le parti non è ascrivibile alla categoria “contratti non registrati nel termine stabilito dalla legge”, essendovi prova che il contratto del marzo 2012 è stato registrato subito dopo la stipulazione.

L’inquilino ha promosso ricorso per cassazione in quanto il contratto stipulato prima del marzo 2012 sarebbe nullo per mancanza di forma scritta.

La pronuncia

La Cassazione ha accolto il ricorso ritenendolo fondato.

Come noto, la sentenza delle Sezioni Unite n. 18214/2015 ha affermato che i contratti di locazione ad uso abitativo stipulati senza la forma scritta sono affetti da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, eccezion fatta per l’ipotesi in cui la forma verbale sia abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso la nullità (cd. di protezione) è rilevabile dal solo conduttore.

Nel caso, dunque, di contratto a forma verbale liberamente concordata tra locatore e conduttore trovano applicazione i principi generali in tema di nullità.

Di conseguenza, se da un lato il locatore può agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo, dall’altro il conduttore può ottenere la parziale restituzione delle somme versate a titolo di canone in misura eccedente a quanto concordato.

Nella fattispecie concreta, i giudici di merito hanno erroneamente escluso la ripetizione di quanto pagato in più dal conduttore, facendo riferimento a quanto concordato tra le parti anziché al canone concordato dalle associazioni di categoria.

 Cass_5794_2019

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.