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La disposizione dell’art. 408, comma 3-bis, c.p.p., che impone al pubblico ministero la comunicazione della richiesta di archiviazione all’offeso di particolari delitti commessi «con violenza alla persona», è applicabile anche ai reati di atti persecutori (612 bis c.p.) e di maltrattamenti in famiglia (572c.p.), sulla scorta di un’interpretazione estensiva del concetto de qua come previsto dal diritto sovrannazionale e comunitario. L’ampliamento del termine ricomprende anche quello di «violenza di genere» che non necessariamente si estrinseca in atti fisici e materiali. L’omissione dell’avviso predetto determina la violazione del contraddittorio e la conseguente nullità, ex art. 127, comma 5, c.p.p., del decreto di archiviazione, impugnabile con ricorso per Cassazione.

Il fatto

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, concordando con la richiesta formulata dall’organo dell’accusa, disponeva l’archiviazione del procedimento a carico di C.A., a seguito di presentazione di denuncia-querela da parte di F.M.C., per i reati previsti e puniti ex art. 612 bis c.p. e 594 c.p. Il difensore della persona offesa deduceva in Cassazione la violazione dell’art. 408, comma 3 bis, c.p.p. per ommessa comunicazione alla vittima della richiesta stessa. La difesa della persona offesa rappresentava come, pur avendo appreso del procedimento a seguito della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari alla propria assistita, non fosse stata data comunicazione della richiesta di archiviazione formulata dal P.M., con conseguente violazione dei principi partecipativi e del contradditorio.

La pronuncia

Il ricorso per Cassazione aveva ad oggetto la violazione della disposizione di cui al comma 3 bis dell’art. 408 c.p.p. nella parte in cui prevedeva la notifica obbligatoria dell’avviso della richiesta di archiviazione in tutti i casi di «delitti commessi con violenza alla persona», a prescindere dalla richiesta della persona offesa (che nel caso di specie non era stata formulata). Secondo la vittima, la fattispecie di stalking, di cui all’art. 612 c.p., deve senza dubbio ritenersi incluso nel novero di tali particolari fattispecie.

Le S.U. danno conto di un contrasto tra orientamenti in tema di applicabilità del comma sopracitato. Oltre all’interpretazione operata dal ricorrente, difatti, ne sussisteva una contrastante che vedrebbe, per la fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p., la non obbligatorietà di dare comunicazione della richiesta di archiviazione, se non espressamente indicata dal querelante.

Tale impostazione fondava sul raffronto con l’obbligo comunicativo dell’avviso ex 415 bis c.p.p. che, a differenza di quello ex 408 c.p.p., espressamente richiamava la fattispecie degli atti persecutori tra quelle che imponevano la comunicazione alla persona offesa dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

I giudici romani davano conto, inoltre, di come la questione riguardasse anche l’aspetto sostanziale circa la locuzione «violenza alla persona», interrogandosi se questa comprendesse solamente i casi di violenza fisica o anche alle ipotesi di violenza morale o psicologica.

L’ avviso obbligatorio alla vittima di reati commessi con violenza alla persona, ex 408, comma 3-bis, c.p.p. ha lo scopo di ampliare i diritti di partecipazione della stessa al procedimento penale. Dalle direzioni sovranazionali e comunitarie, che devono intendersi quale chiaro strumento interpretativo del nostro diritto, si evince come la ratio dell’istituto sia quello di dare specifica protezione alle vittime della violenza di genere, perpetuata contro le donne o come violenza domestica.

Il reato di stalking, al pari di quello dei maltrattamenti in famiglia, rappresenta una delle espressioni di maggior aggressione alla sfera intima e fisica della persona offesa. Il percorso legislativo stesso che introduce la locuzione «delitti commessi con violenza alla persona» testimonia la volontà del legislatore di estendere il concetto a nozioni di violenza proprie dell’ambito internazionale e comunitario tra cui la violenza di genere, contro le donne e nell’ambito delle relazioni affettive, a prescindere che queste forme si concretizzino con violenza fisica. Il reato di atti persecutori, al pari di quello di maltrattamenti, rientra a pieno titolo in tale categoria.

Da tale assunto, e dalla disamina del caso concreto, è possibile derivare il principio per cui «La disposizione dell’art. 408, comma 3-bis, c.p.p., che impone al pubblico ministero la comunicazione della richiesta di archiviazione all’offeso di particolari delitti commessi «con violenza alla persona», è applicabile anche ai reati di atti persecutori (612 bis c.p.) e di maltrattamenti in famiglia (572c.p.), sulla scorta di un’interpretazione estensiva del concetto de qua come previsto dal diritto sovrannazionale e comunitario.

L’ampliamento del termine ricomprende anche quello di «violenza di genere» che non necessariamente si estrinseca in atti fisici e materiali. L’omissione dell’avviso predetto determina la violazione del contraddittorio e la conseguente nullità, ex art. 127, comma 5, c.p.p., del decreto di archiviazione, impugnabile con ricorso per cassazione».

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Avv. Giorgio Crepaldi

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Rovigo. È cultore della materia in Diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Ferrara.

La costituzione di parte civile, esercitata nel procedimento definito con applicazione della pena su richiesta delle parti in sede di indagini preliminari, oltre a subire le preclusioni di cui all’articolo 444, comma 2, c.p.p. risulta illegittima se avviene nella specifica udienza di cui all’articolo 447 c.p.p..
La ratio della predetta, difatti, è quella di vagliare la conformità e l’adeguatezza dell’accordo raggiunto tra pubblico ministero ed imputato, a nulla rilevando i profili privatistici di risarcimento del danno fondanti la costituzione della parte eventuale all’interno del processo penale.
Neppure, se erroneamente lasciata costituire, la parte civile ha diritto al pagamento delle spese sostenute dovendosi ritenere, l’ultima parte del comma 2 dell’articolo 444 c.p.p., relativa ad una costituzione avvenuta antecedentemente alla formazione dell’accordo tra PM e imputato non potendosi porre, a carico del secondo, un atto processualmente inutile e superfluo come la costituzione di parte civile in sede d’udienza ex 447 c.p.p.

Il fatto

In data 29 novembre 2016, il Gip del Tribunale di Catania applicava all’imputato la pena, concordata a norma dell’articolo 444 c.p.p., per il reato di cui all’art. 609 undeces c.p. (adescamento di minori).
Con la suddetta sentenza il giudicante condannava l’imputato, altresì, al pagamento delle spese processuali per l’avvenuta costituzione di parte civile nella specifica udienza ex 447 c.p.p.
L’imputato proponeva ricorso alla Suprema Corte lamentando, quale unico motivo di doglianza, l’erronea condanna al pagamento delle suddette spese processuali per la costituzione della parte eventuale in tale sede ritenendo illegittima la statuizione del giudice catanese.

La pronuncia

Il ricorso appare fondato.
Il ragionamento dei giudici romani prende abbrivio dall’analisi dell’ultima parte del comma 2° dell’articolo 444 c.p.p. per il quale “se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda. L’imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che non ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale”.
La suddetta disposizione viene recepita in ossequio alla granitica decisione della Corte Cost. n. 443 del 1990 che dichiarava illegittimo l’articolo 444 c.p.p. nella parte in cui non riteneva di dover ristorare il danneggiato, legittimamente costituitosi parte civile all’interno di un procedimento definito, successivamente, con l’applicazione della pena su richiesta delle parti.
La Corte Costituzionale, dando rilievo al dettato di cui all’odierno art. 79 c.p.p. per il quale “La costituzione di parte civile può avvenire per l’udienza preliminare e, successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’articolo 484” pone l’accento su un momento costitutivo in cui il danneggiato da reato, attraverso la costituzione, permane nell’aspettativa legittima di un concreto esercizio del suo diritto al risarcimento del danno subito o alle restituzioni.
Un errore di “tempismo”, pertanto, quello della costituzione avvenuta all’udienza ex 447 c.p.p. in quanto il danneggiato, «conoscendo in partenza l’oggetto del giudizio, ristretto alla decisione circa l’accoglibilità della richiesta di applicazione della pena su cui è intervenuto il patteggiamento tra imputato e pubblico ministero, non ha ragioni giuridiche per costituirsi parte civile» (in tal senso Cass. Pen. Sez. U, n. 47803 del 27/11/2008, D’Avino, Rv. 241356).
Trovava anche nel caso di specie applicazione il principio per cui all’udienza fissata in sede di indagini preliminari ex 447 c.p.p. non è consentita la costituzione di parte civile in quanto essa risulterebbe atto processualmente superfluo: se la richiesta concordata tra PM ed imputato fosse accolta, difatti, il gip non potrebbe pronunciarsi sulla questione civile mentre, se l’accordo avesse esito negativo, il danneggiato da reato potrebbe comunque costituirsi alla successiva udienza preliminare o antecedentemente all’apertura del dibattimento.
Dal principio sopra espresso consegue che l’errata costituzione non dia diritto al danneggiato per la restituzione delle spese sostenute essendo queste, giocoforza, ricollegate alla legittimità della costituzione stessa.
Per la Suprema Corte, in conclusione, non può essere posto a carico dell’imputato, anche in termini di costi e di spese sostenute, un atto processualmente inutile e privo di efficacia, illegittimo in quanto assolutamente ininfluente nella specifica udienza in questione.

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Avv. Giorgio Crepaldi

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Rovigo. È cultore della materia in Diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Ferrara.