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Divorzio: assegno di accompagnamento all’ex moglie per il figlio non riduce il mantenimento dell’ex marito

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L’ex marito aveva chiesto la revoca o la riduzione del contributo di mantenimento con la modifica delle condizioni di divorzio, già concordate dai coniugi.

La somma era pari ad € 300,00/mese e, il marito, aveva chiesto di portare l’assegno ad € 50,00 al mese poiché, la ex moglie aveva ricevuto una erogazione, da parte dell’INPS, con cadenza mensile, di €  520,29, a titolo di indennità di accompagnamento per il figlio della coppia.

Durante il divorzio, la ex moglie, non aveva rappresentato il mensile che percepiva, ma solo che era stata effettuata la presentazione della domanda all’Ente.

Qualora il ricorrente avesse saputo della somma riconosciuta in favore del figlio, avrebbe sicuramente proposto una somma minore per fare fronte anche alle proprie spese di vita.

Gli Ermellini, però, avevano valutato l’assegno erogato dall’INPS come una garanzia, in favore della ex moglie, della possibilità di disporre di risorse economiche ulteriori per fare fronte alla quota di propria spettanza degli esborsi ordinari e straordinari del figlio invalido.

Con ordinanza n. 14382/2019, depositata il 27 maggio 2019, la Corte di Cassazione, sezione III Civile, ha stabilito che è comunque responsabile il genitore assente che non ha  rispettato gli obblighi primari del figlio anche se, l’altro genitore, non ha adempiuto ai doveri di mantenimento, educazione, istruzione ed assistenza.

Il fatto

Nel caso in oggetto, una figlia, quarantenne, ha citato in giudizio il padre per farsi riconoscere un risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sostenendo la violazione degli obblighi genitoriali.

Il padre ha riconosciuto la figlia fin dalla nascita.

Nel corso della vita, la figlia, è stata mantenuta esclusivamente dalla madre.

La domanda è stata accolta sia in primo che in secondo grado, riconoscendo alla figlia i danni morali e materiali.

Il padre, a seguito della decisione della Corte d’Appello, ha promosso ricorso per Cassazione.

La pronuncia 

La Suprema Corte di Cassazione ha statuito che entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale, non solo il genitore che convive col figlio, lo mantiene, lo educa e lo istruisce.

Per tale motivo i Giudici hanno rigettato in toto il ricorso dell’uomo e hanno liquidato i danni morali e materiali.

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Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 15730/2019, depositata l’11 giugno 2019, ha disposto che se l’handicap dei genitori comporta una condizione di rischio per i figli, questi ultimi possono essere adottati.  

Il fatto

Due genitori, portatori di handicap, hanno proposto ricorso per evitare che il figlio venisse inserito nelle liste di adozione.

In tal caso, sia il Tribunale che la Corte d’Appello, a seguito di perizie, hanno diagnosticato alla madre un ritardo mentale di media gravità e per questo seguita da Servizi Sociali.

Il padre, affetto anch’egli da ritardo mentale lieve, però associato all’uso di alcol e cannabinoidi.

Non è stato messo in dubbio dai giudici l’amore dei genitori e la profusione d’affetto nei confronti del figlio, il problema si verifica quando, nella cura primaria del figlio, viene ad ingenerarsi un rischio.

La pronuncia 

Dello stesso avviso è stata la Cassazione che ha confermato quanto deciso dal Tribunale prima, e i giudici territoriali poi, affermando che la malattia dei genitori, potrebbe compromettere irreversibilmente, secondo i Giudici, «la capacità di allevare ed educare il figlio, traducendosi in una totale inadeguatezza a prendersene cura».

In conclusione, la Corte, ha deciso valutando il benessere psico-fisico del bambino che può essere salvaguardato solo con l’adozione.

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Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con la ordinanza n. 25134/2018, la Sesta Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, ha stabilito che se il figlio minore vive in un contesto agiato, il Giudice deve prendere in considerazione lo stile di vita tenuto durante la permanenza presso la casa familiare e le disponibilità economiche dei genitori; per tale motivo, non potrà essere utilizzato un criterio generale ed equitativo se il figlio ha vissuto in un ambiente particolarmente abbiente.

Il fatto

Il caso di specie, ha riguardato l’affidamento e il mantenimento di un figlio nato da due genitori non coniugati.

Nei primi due gradi di giudizio è stato confermato che il minore doveva essere affidato in modo condiviso ad entrambi i genitori e, la Corte d’appello di Brescia, ha precisato che la collocazione preminente del minore era presso la madre, gravando così sul padre, una maggiorazione dell’assegno di mantenimento, ricalcolato da euro 800,00 a Euro 1.500,00 mensili.

Il padre ricorre in Cassazione, portando all’attenzione due motivi: in primis, affermando che non è stato posto in essere alcun tipo di valutazione che riguarda lo stile di vita del minore, ed è stato aumentato, così, l’assegno di mantenimento, inoltre, senza fare nessuna analisi e/o raffronto sulla dichiarazione dei redditi della coniuge, ma sono state precisate, solo, le risorse economiche paterne.

In secundis, il Giudice, non ha garantito la bigenitorialità e la corretta applicazione delle norme sull’affido condiviso, poiché ha statuito che la collocazione del minore fosse stabilita presso la madre, non permettendo quanto previsto dagli artt. 147 e 148 del c.c., per cui: cura, educazione ed istruzione.

La pronuncia

La Cassazione, in prima analisi, ha accolto il motivo proposto dal ricorrente.

Gli stessi Ermellini, sostengono che la corte di Appello non abbia valutato i principi del caso in oggetto; hanno affermato che non sono state valutate le esigenze di un bambino di una famiglia agiata, facendo esclusivamente ricorso ad un mero principio equitativo per la determinazione dell’assegno di mantenimento.

Riguardo al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha affermato che il fatto che il minore ha avuto il domicilio stabile presso il genitore con il quale ha vissuto prevalentemente, è stato ritenuto, ai fini della crescita, maggiormente preferibile stante la crisi che ha coinvolto il nucleo familiare.

In sostegno di tale ultimo punto, la Corte di Appello, ha svolto delle indagini peritali, perciò il provvedimento è stato ritenuto preciso e non lacunoso.

Studio Legale Damoli

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