Il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità esclude l’applicabilità della nullità assoluta per violazione della normativa in materia edilizia ai contratti preliminari ed ai contratti obbligatori in genere.

Il fatto

Il promissario acquirente ed il proprietario di un immobile hanno sottoscritto un contratto preliminare di compravendita.

A fronte dell’inerzia del secondo nella sottoscrizione del contratto definitivo, il compratore ha citato in giudizio il venditore per ottenere, in via principale, l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di stipulare l’atto traslativo e, in via subordinata, la risoluzione per inadempimento, con condanna alla restituzione del doppio della caparra.

Il Tribunale di Bari ha rigettato le domande formulate.

Sull’impugnazione proposta dal promissario acquirente, la Corte d’Appello di Bari ha accolto le sue ragioni e ha dichiarato la risoluzione del preliminare per nullità assoluta derivante dalla contrarietà a norme imperative, essendo l’immobile privo di concessione edilizia ed edificato in violazione dello strumento urbanistico vigente.

Il proprietario dell’immobile ha dunque promosso ricorso per cassazione, perché detta nullità si riferirebbe solamente agli atti di trasferimento della proprietà ad efficacia reale e non ai contratti preliminari.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 6685, pubblicata il 7 marzo 2019, gli Ermellini hanno rilevato sul punto due orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo il primo, la nullità per violazione della normativa in materia edilizia sarebbe estendibile anche ai contratti preliminari (v. Cass. 23591/13 e Cass. 28194/13).

Secondo l’altro, preferibile perché maggioritario e più recente, la sanzione della nullità, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, sarebbe applicabile nei soli contratti con effetti traslativi (ex multis, Cass. 11659/18 e Cass. 21942/17).

La Corte adita ha confermato quest’ultimo indirizzo, affermando che detta nullità non è estensibile ai contratti con efficacia obbligatoria, quali i preliminari, perché in ogni caso la sanatoria degli abusi edilizi commessi potrebbe intervenire prima della sottoscrizione del contratto definitivo.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Il locatore, in caso di anormale usura dell’immobile, ha diritto al risarcimento del danno consistente sia nella somma di denaro occorrente per la riparazione dell’immobile medesimo, sia nel mancato guadagno ritraibile dalla cosa nel periodo di tempo necessario per l’esecuzione dei lavori.

Il fatto

I proprietari di un immobile concesso in locazione ad un ente pubblico hanno proposto ricorso per consulenza tecnica preventiva, con l’obiettivo di accertare l’entità dei danni arrecati all’immobile dalla p.a., nonché individuare e quantificare le opere necessarie per ripristinare lo stato dei luoghi.

All’esito della successiva causa di merito, il Tribunale di Catanzaro ha preso atto dell’esistenza di detti gravi danni e, di conseguenza, ha condannato il conduttore al risarcimento dei danni, oltre al pagamento di una indennità commisurata al periodo di tempo occorrente ai proprietari per il restauro dell’immobile.

La Corte d’Appello della medesima città, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’ente, ha invece ritenuto che nessun risarcimento o indennità spettasse ai proprietari a titolo di ristoro della perduta possibilità di locare l’immobile a terzi durante il periodo occorrente per il restauro.

I locatori hanno, quindi, promosso ricorso per cassazione, ritenendo che nell’ipotesi in cui il conduttore restituisca l’immobile in condizioni tali da chiedere un restauro, il danno sarebbe in re ipsa.

La pronuncia

Con l’ordinanza n. 6596, pubblicata il 7 marzo 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei proprietari perché fondato.

In primis, ha confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “qualora, in violazione dell’art. 1590 c.c., al momento della riconsegna dell’immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto a normale uso dello stesso, incombe al conduttore l’obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l’esecuzione ed il completamento di tali lavori, senza che, a quest’ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di aver ricevuto – da parte di terzi – richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori“.

In secondo luogo, si è precisato come il risarcimento dovuto al locatore in conseguenza della mancata disponibilità del bene durante il periodo occorrente per il restauro non costituisca un danno in re ipsa. L’indisponibilità è invece equiparata alla mancata restituzione dell’immobile. Ne consegue che è, in ogni caso, dovuto per questo periodo al proprietario il corrispettivo convenuto in sede di contratto, salva la prova del maggior danno.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

La Sesta sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6562/2019, depositata il 06 marzo 2019, ha accolto il ricorso proposto da un consumatore contro un fornitore di servizi di gas, gli Ermellini hanno affermato che non basta la continua erogazione del servizio, bensì deve essere controllato il corretto funzionamento del contatore.

Il fatto

Il caso di specie, riguarda il ricorso, proposto da un consumatore, contro delle fatture prodotte in giudizio da un Ente erogatore.

La corte territoriale ha affermato che l’Ente erogatore, ha dimostrato le cessioni di gas riferite alle fatture prodotte in giudizio, e l’Ente ha proseguito nell’erogare la fornitura di gas durante il periodo relativo al rilevamento dei consumi o all’atto dell’emissione delle fatture;

In primo grado, la decisione è stata favorevole al soggetto che ha proposto l’azione;

La pronuncia

Per quanto riguarda i contratti di somministrazione, la Cassazione, ha affermato che è una semplice presunzione di veridicità il rilevamento dei consumi mediante contatore.

Nel caso di contrapposizione tra Ente erogatore e Consumatore, vige sul Fornitore l’onere di provare che il contatore sia in regola, senza perdite e sia funzionante.

Inoltre, successivamente alla contestazione del quantum del gas somministrato, la Società fornitrice avrebbe dovuto dimostrate la corretta funzionalità del contatore e, per tale motivo, inaccoglibilie sarebbe stata la pretesa creditoria, poichè è stato violato il principio della distribuzione dell’onere probatorio, ex art. 2697 c.c.

A sua volta, il Consumatore, deve dimostrare che i consumi, che sono documentati in bolletta, sono eccessivi rispetto allo standard di utilizzo e di controllo costante dell’impianto.

consumatore vs fornitore servizi di gas

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con la sentenza n. 8459 del 29 gennaio 2019, la II sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che non configura alcuna ipotesi di reato l’utilizzo delle somme di denaro percepite a titolo di stipendio dall’ex-dipendente, dopo la cessazione del rapporto lavorativo, mentre può ritenersi integrato il solo obbligo di restituzione di natura civilistica.

Il fatto

Nonostante l’interruzione del rapporto di lavoro, un Ente pubblico continuava per errore a corrispondere le somme riconosciute a titolo di stipendio al proprio ex-dipendente, il quale ne faceva uso per scopi personali.

Il dipendente, a seguito della condanna emessa in secondo grado dalla Corte d’Appello di Trieste per il reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p., proponeva ricorso in Corte di Cassazione, sottolineando come la condotta a lui addebitata avesse rilievo solamente da un punto di vista civilistico.

La pronuncia

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha evidenziato come ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita di somme di denaro, si renda necessario che il soggetto agente utilizzi tali somme per scopi diversi rispetto a quelli a cui erano destinate al momento della consegna.

Nel caso di specie, la disposizione del bonifico da parte dell’Ente erogatore ha determinato il trasferimento definitivo del denaro nel patrimonio del soggetto agente, senza alcuna specifica destinazione di scopo, sicché nessuna illiceità può essere ravvisata nel successivo utilizzo delle somme (diverso è ad esempio il caso di utilizzo delle somme versate a titolo di acconto sul prezzo pattuito nel contratto preliminare, cfr. Corte di Cassazione Sez. II penale, Sent. 48136 del 21 novembre 2013).

Nell’ipotesi in esame, tra le parti matura esclusivamente l’obbligo di restituire quanto indebitamente percepito, e l’inadempimento di tale obbligo ha carattere di natura civilistica.

 Appropriazione Indebita

Dott. Enrico Pomarici

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Trento nel 2016, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo. Si occupa di diritto penale.

Le prescrizioni dei segnali stradali verticali prevalgono rispetto a quelle dei segnali orizzontali, ai sensi dell’art. 38, comma 2, del Codice della Strada.

All’interno delle aree di sosta, le strisce orizzontali hanno solo funzione integrativa e sono obbligatorie solo quando gli stalli sono disposti “a spina di pesce” o “a pettine”.

Il fatto

Un automobilista ha parcheggiato il proprio veicolo lungo un tratto di strada con sosta a pagamento, privo tuttavia di strisce di delimitazione degli stalli.

Non ravvisando le strisce sull’asfalto, non ha pagato il corrispettivo per il posteggio.

La Polizia Locale di Messina ha emesso comunque una sanzione amministrativa nei suoi confronti, per sosta in parcheggio a pagamento senza esposizione del relativo tagliando.

Il proprietario dell’autoveicolo si è opposto alla stessa, promuovendo il ricorso davanti il Giudice di Pace locale, senza ottenere però l’accoglimento delle proprie ragioni.

Anche il Tribunale di Messina, in grado di appello, ha confermato il rigetto dell’opposizione.

Il soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La pronuncia

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 6398, pubblicata il 5 marzo 2019, ha rigettato il ricorso perché infondato.

Il Tribunale, infatti, ha correttamente accertato la presenza della segnaletica verticale recante l’indicazione degli orari di sosta e delle tariffe. Questo è ritenuto sufficiente a segnalare la necessità di pagare il parcheggio per poter sostare.

A nulla è rilevato, invece, l’assenza di delimitazione degli stalli segnalati da strisce, essendo gli stessi paralleli all’asse stradale e per i quali l’art. 149, reg. att. C.d.S., non ha previsto l’obbligo di delimitazione.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Il d.lgs. n. 14/2019 riguardante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, pubblicato il 14 febbraio 2019, n. 38, in Gazzetta Ufficiale, in modifica del d.lgs. n. 122/2005, «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire», ha stabilito maggiori sicurezze e garanzie per coloro che vogliono acquistare immobili da costruire.

Le modifiche che sono state apportate, riguardano esclusivamente le garanzie e le fideiussioni, ad avallo degli acconti, che potranno essere concesse solo da banche e assicurazioni.

Nel caso in cui il Notaio dichiari, in atto, di non aver ricevuto la polizza assicurativa, la fideiussione potrà essere fatta valere anche nell’ipotesi in cui vi sia un inadempimento dell’obbligo da parte del costruttore di rilasciare la polizza postuma decennale.

Qualsiasi atto da stipularsi davanti al notaio rogante, sia esso un contratto preliminare o altra tipologia di atto, deve essere stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Il contratto preliminare deve indicare gli estremi della polizza fideiussoria assicurativa e deve essere conforme al modello standard previsto dal decreto ministeriale; se il modello non sarà ancora definito, le parti potranno determinarlo convenzionalmente.

Tale atto, in seguito, dovrà essere registrato presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate e trascritto presso la Conservatoria immobiliare.

Anche nell’atto di trasferimento di proprietà dovranno essere inseriti gli estremi della polizza fideiussoria decennale, in caso di mancanza, il contratto di compravendita si riterrà nullo e l’istanza potrà essere fatta valere solo su istanza di parte.

Il d.lgs. n. 14/2019, sarà applicabile solo per i contratti che riguardano immobili da costruire, con domanda del titolo abitativo edilizio presentata in data successiva al 16 marzo 2019.

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con l’ordinanza n. 5794, pubblicata il 28 febbraio 2019, la Corte di Cassazione ha delineato la nullità del contratto di locazione stipulato verbalmente e ha riconosciuto il diritto dell’inquilino ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate al proprietario di casa.

Il fatto

Il proprietario di un appartamento lo ha affittato per il periodo dal marzo 2011 all’agosto 2012 al canone di 900 euro mensili, senza tuttavia registrare alcun contratto.

Nel marzo 2012, tuttavia, su richiesta dell’inquilino, il locatore ha registrato un contratto di locazione nel quale è previsto un canone inferiore a quello effettivamente corrisposto, pari a 400 euro mensili.

Il conduttore, allora, lo ha convenuto in giudizio chiedendo la restituzione delle somme indebitamente pagate, corrispondenti ad euro 500 mensili per tutta la durata del contratto.

Sia il Tribunale di Lucca, in primo grado, sia la Corte d’Appello di Firenze, in secondo, hanno però rigettato la domanda. Secondo i giudici del merito, il contratto di locazione intercorso tra le parti non è ascrivibile alla categoria “contratti non registrati nel termine stabilito dalla legge”, essendovi prova che il contratto del marzo 2012 è stato registrato subito dopo la stipulazione.

L’inquilino ha promosso ricorso per cassazione in quanto il contratto stipulato prima del marzo 2012 sarebbe nullo per mancanza di forma scritta.

La pronuncia

La Cassazione ha accolto il ricorso ritenendolo fondato.

Come noto, la sentenza delle Sezioni Unite n. 18214/2015 ha affermato che i contratti di locazione ad uso abitativo stipulati senza la forma scritta sono affetti da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, eccezion fatta per l’ipotesi in cui la forma verbale sia abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso la nullità (cd. di protezione) è rilevabile dal solo conduttore.

Nel caso, dunque, di contratto a forma verbale liberamente concordata tra locatore e conduttore trovano applicazione i principi generali in tema di nullità.

Di conseguenza, se da un lato il locatore può agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo, dall’altro il conduttore può ottenere la parziale restituzione delle somme versate a titolo di canone in misura eccedente a quanto concordato.

Nella fattispecie concreta, i giudici di merito hanno erroneamente escluso la ripetizione di quanto pagato in più dal conduttore, facendo riferimento a quanto concordato tra le parti anziché al canone concordato dalle associazioni di categoria.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Con la ordinanza n. 1188, depositata il 17 gennaio 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla condomina danneggiante, poiché il giudice di prime cure ha omesso di tenere in considerazione il comportamento del condomino opposto, risultato ostile all’attività manutentiva del terrazzo.    

Il fatto

Un condomino ha proposto richiesta di risarcimento danni nei confronti di un altro condomino, poiché, dal comportamento di quest’ultimo, sono derivate infiltrazioni provenienti dal sovrastante terrazzo a livello.

Il Giudice ha condannato il propietario dell’appartamento sovrastante al risarcimento danni.

La condomina ha impugnato la sentenza davanti al Tribunale, affermando che non ha potuto sostenere nessuna attività di manutenzione del terrazzo, per perdita di titoli edilizi derivanti del diniego da parte del condomino sottostante.

Il Tribunale ha rigettato l’appello, affermando che, per i danni cagionati per infiltrazioni d’acqua derivanti dall’appartamento sovrastante, ne devono rispondere tutti i condomini in base alle proporzioni ex art. 1126 c.c.

Ha proposto ricorso in Cassazione.

La pronuncia

Il motivo di ricorso è stato accolto dalla Corte di Cassazione, poichè, la proprietaria, ha assunto la violazione degli artt. 112 e 132, n.4, c.p.c., motivando la mancata insussistenza delle proprie responsabilità ex art. 2051 c.c.

Tale mancata manutenzione del terrazzo, non è derivata da responsabilità della ricorrente, bensì tutti i condomini si sono opposti alla manutenzione, non permettendole così di apporre opere di miglioria e perdendo il beneficio dei provvedimenti comunali (sospensione del titolo edilizio).


Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

La Legge di Bilancio 2019 (L. 30 dicembre 2018, n. 145, “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021“) ha previsto l’entrata in vigore dal 1° marzo 2019, fino al 31 dicembre 2021, di due misure volte a tutelare l’ambiente e la mobilità: l’ecobonus a favore di chi acquista auto a basso impatto ambientale e l’ecotassa per chi, invece, sceglie veicoli altamente inquinanti.

Il bonus

L’art. 1, comma 1031, della predetta Legge ha riconosciuto a chi acquista, anche in leasing, un veicolo nuovo del valore non superiore a 50 mila euro (IVA esclusa), l’emissione di un contributo parametrato ai grammi di CO2 emessi.

Se l’auto comprata non produce più di 20 g/km e contestualmente si consegna per la rottamazione un veicolo omologato alle classi Euro 1, 2, 3 o 4, l’incentivo è di 6 mila euro. È di 4 mila euro in assenza di rottamazione.

Se, invece, le emissioni di COsuperano i 21 g/km, ma non eccedono i 70 g/km, il contributo è di 2.500 euro, rottamando un veicolo rientrante nelle predette classi, o di 1.500 euro, se non si consegna alcuna auto.

Qualora, inoltre, l’auto sia elettrica o ibrida, di potenza inferiore o uguale a 11kW, è riconosciuto un contributo pari al 30% del prezzo di acquisto, fino ad un massimo di 3 mila euro.

Per potersi avvantaggiare dell’incentivo, in ogni caso, l’automobile deve essere immatricolata in Italia.

L’imposta

L’art. 1, comma 1042, della citata normativa ha penalizzato, invece, chi acquista, anche in leasing, automobili che emettono più di 160 g/km di CO2.

In particolare, sono previsti quattro scaglioni di imposta proporzionali alle emissioni di CO2:

  • se queste sono inferiori a 175 g/km, l’importo da pagare è di 1.100 euro;
  • se sono comprese tra i 176 e i 200 g/km, la somma è di 1.600 euro;
  • se rientrano tra i 201 e i 250 g/km, si dovranno pagare 2 mila euro;
  • se, infine, sono superiori a 250 g/km, l’esborso sarà di 2.500 euro.

Questa imposta si applica con riferimento a veicoli immatricolati in Italia, anche se in precedenza sono stati già immatricolati in altri Paesi.

 

 

 

Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Con l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26843/2018, depositata in data 23 ottobre 2018, viene sancito che in caso di mancata notifica del verbale di accertamento, la cartella esattoriale è valida.

Il fatto

L’automobilista ha proposto ricorso dinanzi al Giudice di Pace, per far riconoscere la nullità della notificazione dell’atto presupposto.

Proposto l’appello, il Giudice monocratico l’ha rigettato, poiché è stata fondata l’opposizione a cartella, sulla sola deduzione che è mancata la regolare notifica del verbale, senza formulare alcuna ulteriore doglianza.

Il ricorrente propone ricorso per Cassazione.

La pronuncia

I Giudici della Suprema Corte di Cassazione, si sono espressi affermando che: nell’ambito delle opposizioni a sanzioni amministrative, è inammissibile l’opposizione a cartelle di pagamento, ove sia diretto a recuperare il momento di garanzia, con il quale, il soggetto, sostiene di non potere avvalersene per la formazione del titolo per omessa notificazione dell’atto presupposto.

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Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.